Assunzioni, affari e voti: tutti in fila dal boss Pidone - VIDEO - Live Sicilia

Assunzioni, affari e voti: tutti in fila dal boss Pidone – VIDEO

Nomi e ruoli dei fermati nel blitz di Trapani. Il capo fissava gli incontri in una dependance

TRAPANI – Nicolò Pidone, 57 anni, non è un nome nuovo nelle indagini per mafia. È uno dei tanti scarcerati che, una volta scontata una precedente condanna per mafia, si riprendono il loro posto. Quello di Pidone era, secondo la Dda di Palermo, il capo della famiglia di Calatafimi-Segesta, mandamento di Alcamo. Era diventato un punto di riferimento. A Pidone si rivolgevano le dodici persone con le quali è stato fermato nella notte dai poliziotti dello Sco e delle squadre mobili di Trapani e Palermo.

Rischio fuga

C’era il rischio che qualcuno si desse alla latitanza ed era pronta una severa punizione per un affiliato reo di non avere rispettato le regole. Da qui l’esigenza dei fermi. Pidone era uno che badava al sodo e cercava di stare nell’ombra. Non è casuale che avesse scelto una fatiscente dependance della sua masseria come base operativa. Ed è qui che dettava le regole, ricompattava dissidi e riceveva persone che in realtà avrebbero dovuto rivolgersi ai boss di altri mandamenti. I confini mafiosi sono sempre più liquidi. Tra gli indagati ci sono altri due condannati per mafia, Rosario Tommaso Leo e il cugino Stefano Leo. Quest’ultimo sarebbe stato vicino al defunto boss Gondola Vito e a Sergio Giglio, uomini chiave della rete di pizzinari che faceva capo a Matteo Messina Denaro, ma sarebbe stato coinvolto anche nella latitanza dell’ergastolano Vito Marino, arrestato dalla polizia due anni fa.

Le immagini del blitz nel Trapanese

Tra coloro che avrebbero favorito gli incontri e le comunicazioni con Pidone ci sarebbe il quarantaseienne imprenditore agricolo Simone Domenico, di Vita. E poi ci sono gli insospettabili.

Gli insospettabili

In carcere è finito Salvatore Barone, fino alla scorsa estate presidente dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani di cui è stato anche direttore generale, mentre è indagato il sindaco di Calatafimi, Antonino Accardo, per tentata estorsione e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. Barone è anche presidente della cantina sociale Kaggera di Calatafimi. Pidone, attraverso il suo uomo di fiducia, Gaetano Placenza, di professione allevatore, avrebbe ottenuto delle assunzioni per sostenere economicamente le famiglie dei detenuti mafiosi, ma anche soldi per aiutare gli esponenti di Cosa Nostra, aggirando le norme statutarie della cantina.

Il sindaco i voti

La vicenda dei voti comprati è stata ricostruita grazie alla testimonianza di un uomo a cui sarebbero stati promessi 50 euro per ogni voto che avrebbe procurato al candidato Accardo. Gli diedero dei volantini precompilati.

Le assunzioni

Tra gli assunti nella cantina c’è Veronica Musso, figlia dell’ergastolano Calogerio, boss di Vita, e Loredana Giappone, moglie di Rosario Tommaso Leo.
Barone inoltre avrebbe avuto un ruolo nella vittoria di Accardo alle elezioni comunali di un anno e mezzo fa. Accardo avrebbe pagato 50 euro a preferenza. Non è l’unica contestazione rivolta al sindaco che si sarebbe rivolto a Rosario Tommaso Leo per recuperare una somma di denaro da un imprenditore di Petrosino, Leonardo Urso, suo ex socio in affari. Lo stesso Urso è nell’elenco dei tredici fermati perché avrebbe “tenuto un comportamento reticente per favorire Cosa Nostra”. In carcere anche l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, di origini agrigentine, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Avrebbe assunto fittiziamente Pidone in modo da ammorbidire la misura di sicurezza del boss.

I danneggiamenti

Le indagini hanno fatto emergere alcuni danneggiamenti. Come quello subito dall’imprenditore Antonino Caprarotta, a cui bruciarono una macchina, e all’agente di commercio Giuseppe Fanara. A dare l’ordine sarebbe stato Pidone, ad eseguirlo altri due fermati per mafia, Giuseppe Aceste e Antonino Sabella. Capraotta aveva presentato una denuncia contro l’imprenditore Francecso Isca per la gestione dei parcheggi del parco archeologico di Calatafimi – Segesta, sfociata nell’arresto di Isca e dell’ispettore della polizia municipale Salvatore Caprarotta.
Tra i fermati anche Giuseppe Gennaro, altro esponente della famiglia mafiosa di Calatafimi, accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di aver rubato un trattore agricolo, e Ludovico Chiapponello, che avrebbe favorito Cosa Nostra bonificando dalle microspie la dependance di Pidone.
Tra gli indagati anche un appartenente alla polizia penitenziaria, in servizio al carcere Pagliarelli di Palermo, a cui è contestato il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, commesso al fine di agevolare Cosa Nostra.

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