Guarita la dottoressa che viveva in cantina: è tornata al lavoro

Guarita la dottoressa che viveva in cantina: è tornata al lavoro

Aveva scelto di isolarsi per proteggere la sua famiglia dal Covid.

PALERMOCara dottoressa che vivevi in una cantina perché, contagiata dal Covid, avevi deciso di proteggere così la tua famiglia e il mondo: che bello vedere i tuoi occhi che ridono sopra la mascherina, in una foto che non sarà mai pubblicata per rispetto della privacy.

Ora che sei tornata all’ospedale ‘Cervello’ per curare i tuoi malati, si capisce che sei felice. Ed è giusto così. Un medico vuole stare in corsia per onorare la missione che ha scelto, come un astronauta si sente a casa soltanto nello spazio infinito. Ogni lavoro, in fondo, se c’è fortuna, è un viaggio per incontrare se stessi e, in questo, somiglia da vicino all’amore.
In quel campo di battaglia che è un reparto Covid, la tua voce zampillerà ancora e sarà di consolazione. Darà, con l’umanità dei tuoi colleghi, più forza a chi potrà combattere e farà sentire un po’ meno soli quelli che diranno addio, quelli che dicono addio ogni giorno e che il Natale degli egoismi ha scelto di mettere da parte.

Dovrebbero esserci in tanti a guardare cosa succede dove la lotta è più terribile, dove ogni centimetro di respiro diventa un chilometro di vita. E non per morbosità, ma per umanità, appunto. Per abbracciare da vicino l’alleanza che si stringe tra chi cura e chi viene curato. Tra le persone col casco che, davvero, sembrano un po’ gli astronauti della loro stessa paura e gli alieni bardati – medici e infermieri – che danno l’anima per salvarli.
Cara dottoressa, molti lettori hanno letto la tua storia, cioè la vicenda di un medico e di una giovane mamma che, un giorno, non ha sentito l’odore della pasta al salmone e ha scoperto di essere positiva. Da lì, la decisione: cari miei, vado in cantina sotto la nostra cucina, per difendervi. Tornerò da voi, quando sarò guarita. Perché il ‘quando’ offre il coraggio che serve per scavalcare la fragilità del ‘se’. Il Covid è tirannico, decide tutto lui. E se ha deciso di distruggere, distrugge, senza pietà.

Ma tu sei guarita. I nostri lettori saranno contenti e non solo loro. Naturalmente, il primo pensiero è stato: voglio tornare in ospedale. Sì, è giusto così. Come è necessaria la sensibilità dei nostri medici, dei nostri infermieri, di chi affronta il nemico: non sono perfetti, non sono eroi, sono persone e questo li rende ancora più valorosi. A che serve il nostro cuore se non sa volare fino alla luna?


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