Bugie, mancati controlli, corruzione e a Giardini Naxos il fiume straripò

Bugie, mancati controlli, corruzione e a Giardini Naxos il fiume straripò

L'acqua invase una parte del centro abitato nel 2015 e nel 2016. Ieri il blitz

PALERMO – Le conseguenze dei reati ambientali sono molto più pericolose e vicine di quanto si creda. È dallo straripamento del torrente San Giovanni che sono partire le indagini culminate ieri nel blitz dei carabinieri, coordinati alla Procura di Messina.

L’acqua invase una parte del centro abitato di Giardini Naxos nel 2015 e nel 2016. Si iniziò a indagare ed è venuta fuori una raffica di ipotesi di reato: associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti, gestione di rifiuti non autorizzata, realizzazione di discariche abusive, invasione di terreni, deviazione di acque, falsità ideologica, falsità materiale, abuso d’ufficio e corruzione.

Due impianti di smaltimento e compostaggio di rifiuti a Giardini Naxos (Messina) e Ramacca (Catania) sono stati sequestrati dai carabinieri per la Tutela ambientale e del Comando provinciale. Sedici le misure cautelari eseguite.

Secondo l’accusa, qualcuno avrebbe dovuto e potuto accorgersi del sistema che ruotava attorno alla società Eco Beach dell’imprenditore Venerino Savio, ma avrebbe fatto finta di non vedere, ricevendo in cambio di utilità. Si parla di cene, pranzi, bottiglie di olio e soldi in contanti per certificare che fosse tutto in regola.

Prima ancora di conoscere gli esiti giudiziari quel che emerge è la facilità con cui sarebbero state messe a posto le pratiche amministrative. Sarebbe bastata una iniziale, e grossolana, bugia per dare una parvenza di regolarità all’iter burocratico.

I tecnici che fecero il sopralluogo dopo gli allagamenti scrissero che “i problemi idraulici sono determinati da alterazioni nel regolare flusso delle acque dei torrenti che attraversavano il territorio: il torrente San Giovanni e il torrente Bottari, affluente del primo”.

Risalendo l’alveo del fiume si accorsero che a monte del centro abitato travolto dall’acqua era stata realizzata una strada nel letto del fiume. Tutto questo nel 2015 e l’area fu perimetrata. Un anno dopo arrivò una segnalazione al Comune, i vigili andarono sul posto e trovarono le ruspe della Eco Beach in azione. Dopo la nuova alluvione qualcuno stava sistemando la strada danneggiata dall’acqua.

Un’attività industriale in aperta campagna a margine di un torrente, in una zona classificata ad alto rischio idrogeologico, e con una unica via di accesso una strada che non doveva esserci: più di qualcosa non tornava. Ed è partita l’inchiesta dei carabinieri del Noe, coordinati dalla Procura guidata da Maurizio De Lucia.

Sono emerse irregolarità, carte false, autorizzazioni viziate da iniziali bugie, omessi controlli e altri eseguiti ma facendo finta di non vedere.

Dall’iniziale autorizzazione in procedura semplificata assegnata all’impresa, passando dalla conferenza servizi tenutasi nel 2005 e fino ad arrivare ad oggi i referenti di Eco Beach e del titolare Venerino Savio (fra gli arrestati di ieri), prima alla provincia regionale e poi alla Direzione ambiente della Città Metropolitana, sono stati sempre gli stessi e cioè Concetta Sarlo (sospesa per sei mesi), e soprattutto l’ispettore Eugenio Faraone (pure lui arrestato ieri).

Basta leggere il verbale della conferenza di servizi per scoprire che con riferimento alla “posizione del terreno rispetto alla previsione dello strumento urbanistico del Comune le parti di area interessate da inedificabilità (zone di impluvio) dovranno essere stralciate dal progetto”.

Non è tutto: il rappresentante del Comune dichiarava che l’area era a destinazione agricola e che era sottoposta a vincoli idrogeologico e paesaggistico. In ultimo sempre dal verbale si legge che “le previsioni urbanistiche erano difformi al progetto”.

Era fin troppo chiaro che lo stabilimento di trattamento dei rifiuti non dovesse trovarsi lì. E così l’assessorato regionale al Territorio invitava l’amministrazione provinciale a valutare la legittimità delle autorizzazioni degli impianti già autorizzati a ed a rigettare l’istanza di iscrizione di quelli nuovi.

Quel verbale, però, si concludeva con l’invito all’impresa a richiedere la Valutazione Impatto Ambientale necessaria per il rilascio dell’autorizzazione al trattamento di rifiuti pericolosi, senza fare alcun riferimento alla questione della variante per la zona agricola.

Ed infatti nel 2006 la Eco Beach chiese l’autorizzazione per l’insediamento senza nulla chiedere in relazione all’impatto ambientale. I progettisti dell’impresa non lo ritennero necessario perché il sito distava circa 4 km in linea d’aria dalla riserva naturale del fiume Alcantara. Si faceva menzione dell’Alcantara e si taceva del letto del fiume che correva accanto all’impianto.

Questo, dunque, sarebbe il passaggio in cui si annida il falso e che si ricollegherebbe alla condotta omissiva dei funzionari pubblici in conferenza servizi: Eco Beach non richiedeva la Via per la verifica di impatto ambientale non perché fosse distante dalla riserva dell’Alcantara, ma perché era in zona agricola e quindi non avrebbe mai potuto sperare in una valutazione di impatto ambientale favorevole.

Quando all’impresa fu dato il via libera con procedura ordinaria in assessorato pensarono che fosse tutto regolare in virtù dell’omissione iniziale sulla necessità della valutazione d’impatto ambientale. Se non era stata chiesta voleva dire che non fosse necessaria visto che la Eco Beach aveva già in mano un’autorizzazione semplificata.

Nei successivi controlli tutto è sempre risultato tutto regolare anche in tema di smaltimento dei rifiuti. E qui si innescherebbe il rapporto fra Faraone, Savio, la figlia di quest’ultimo, Patrizia, e ad altri imprenditori di aziende collegate alla Eco Beach. Si sono spesso incontrati fuori dall’ufficio, anche a casa di Savio. Una volta i carabinieri hanno visto Savio prendere appunti sotto dettatura di Faraone al ristorante. Si sarebbe trattato delle indicazioni per mettere a posto le cose. Altre volte Faraone li avrebbe avvisati in tempo dell’arrivo di controlli.

A Faraone farebbero riferimento Savio e Romolo Barbini, finito ai domiciliari, in una conversazione in cui parlavano di “500 euro allora e 500 euro ieri, sempre… di acconto sul fatturato…; “o no… io gliel’ho saldato… io… siccome io ho saldato, quindi non viene per… io… esclusivamente lui, si trova a passare di qua… e vuole prendersi un caffè con me… tutto li… apposto…”. Un’altra volta Barbini diceva: “… poi li abbiamo portati a mangiare, gli abbiamo dato… gli abbiamo regalato un paio di bottiglie di olio…”. Ed ancora Barbini: “… ora lui mi ha promesso che in settimana viene a fare le analisi… l’amico nostro…”.


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