L'altra mafia agrigentina, asse della droga con Palermo: 13 arresti

L’altra mafia agrigentina, 12 arresti: droga, asse con Palermo

A Palma di Montechiaro c'è il "paracco" che convive con Cosa Nostra. Coinvolto un consigliere comunale I NOMI

Un’altra mafia detterebbe legge a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento. Non è la tradizionale Cosa Nostra, ma ne ricalca lo schema organizzativo. Ed è per questo che la Procura di Palermo contesta il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Un blitz dei carabinieri porta in carcere dodici persone, una ai domiciliari. Il giudice per le indagini preliminari ha accolto la ricostruzione del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Calogero Ferrara, Pierangelo Padova, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo. L’elenco si apre con il nome di Rosario Pace, considerato il capo. Cognome noto quello della famiglia stiddara che uccise barbaramente il giudice Rosario Livatino. C’è anche il consigliere comunale Salvatore Montalto fra gli arresti, sarebbe stato uno dei capi decina del “paracco”.

L’asse con Palermo per la droga

Controllo del territorio, estorsioni, rapine e traffico di droga: i paraccari (così sono definiti) si davano un gran da fare. Le indagini sono partite da Palermo per giungere in provincia di Agrigento. In particolare, dalla figura di Salvatore Troia, considerato uomo d’onore della famiglia mafiosa di Villabate, nel Palermitano, arrestato nel blitz che ha scompaginato la nuova cupola di Cosa Nostra operativa nel capoluogo siciliano e condannato in primo grado a nove anni di carcere.

Troia era in contatto con Giuseppe Blando, considerato esponente di primo piano della famiglia mafiosa di Favara, arrestato nel blitz denominato Montagna ma assolto. Secondo l’accusa, stavano organizzando un consistente traffico di cocaina.

“U francisi” dello Sperone

Troia, soprannominato “u francisi”, sarebbe stato il fornitore di cocaina di un gruppo criminale attivo nel rione palermitano dello Sperone e capeggiato da Domenico Macaluso e Vincenzo Militello.

Partendo da Palermo i carabinieri di Agrigento sono arrivati a Palma di Montechiaro dove era attivo il paracco di Rosario Pace. Il paracco, che in dialetto siciliano significa ombrello, è gruppo criminale che non fa parte di Cosa Nostra, ma ne ha tutte le caratteristiche organizzative. Come la stidda si affianca alla mafia, di cui subisce l’autorità, ma si muove in autonomia.

Il racconto del pentito

Il favarese Giuseppe Quaranta divenuto collaboratore di giustizia ha spiegato che “a Palma di Montechiaro a gestire ogni cosa c’è Rosario Pace, inteso cucciuvì. I rapporti con Nicola Ribisi che di fatto è il reggente della famiglia mafiosa di Cosa Nostra in quello stesso centro, sono di stretta collaborazione tanto che se Ribisi deve effettuare qualche cosa lo chiede a Pace”.

Lo stesso Quaranta ha descritto le famigghiedde costituite da una decina di persone, i paraccari appunto, e hanno una struttura gerarchica composta da capi, sottocapi, capidecina e così via. Tutti si mettono sotto l’ombrello di protezione dell’associazione criminale.

Tra i tentativi di estorsione svelati dall’indagine ci sarebbe quello ai danni del gruppo di imprese che si è aggiudicato un appalto da due milioni e tre cento mila euro nell’ambito del “Contratto di quartiere”.

“Ora c’è la festa è…giusto che festeggiamo tutti…”, disse Pace che per convincere l’imprenditore a pagare avrebbe organizzato furti e danneggiamenti nel cantiere.

I nomi degli arrestati

Rosario Pace, Domenico Manganello, Sarino Lauricella, Sarino Lo Vasco, Gioacchino Rosario Barragato, Salvatore Montalto, Tommaso Vitanza, Giuseppe Morgana, Gioacchino Pace, Salvatore Emanuele Pace, Giuseppe Blando. Ai domiciliari Calogero Lumia.


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