I girasoli dei versi di Scandurra - Live Sicilia

I girasoli dei versi di Scandurra

I Girasoli del girasole, vent’anni di risvolti culturali, dedicato al figlio Vasco, e stampato nel maggio del 2008.
INCHIOSTRO DI SICILIA
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Non è vero, non è vero affatto che la morte di un poeta passi dall’eternità dei suoi versi all’immortalità.

C’è un istante lunghissimo in cui il lutto deve costringersi alla sua forma di carne. Deragliare l’immaginario, affidarsi alla carità dei ricordi in un vortice sacro, rendergli omaggio celebrandone il sorriso così spesso arreso che, da solo, ci parla di luce inviolabile.

Così è per me ricordare Angelo Scandurra: non sapere mettere in ordine i momenti del nostro incontro e contrassegnare, invece, quelli che non ci sono mai stati. Le occasioni che, adesso, sembrano tutte mancate e, per questo, degne della sua assenza.

Mi rimane accanto un unico prezioso libro: I Girasoli del girasole, vent’anni di risvolti culturali, dedicato al suo girasole, il figlio Vasco, e stampato in carta tirata a mano nel maggio del 2008, per Il Girasole edizioni, la sua casa editrice.

Me ne fece dono quando impaginammo il mio Amore all’inferno. Me lo porse con la pressante generosità dei poeti mentre nelle mani mi sembrava che già i miei versi fossero vivi, tanto era l’entusiasmo con cui parlava della nostra creatura.

Poi non lo vidi più, come spesso accade con i doni dell’esistenza. Ma i suoi centoquarantanove girasoli continuano a volgersi verso il sole. Tutti dipinti da artisti con cui aveva condiviso il suo percorso artistico. Franco Battiato, Michele Canzoneri, Piero Guccione, Michelangelo Antonioni e tanti altri di pari bellezza accanto a cui aveva posto versi di altri scrittori come Goliarda Sapienza, Gesualdo Bufalino, Federico De Roberto che aveva pubblicato o altri a cui rendeva omaggio.

Luca Canali lo aveva definito un San Francesco dalla poesia assolutamente e aspramente laica, immagine che trovo aderente al suo essere vivo con umiltà luminosa, la stessa che nell’agosto del 1999, da sindaco di Valverde, convinse Vasco Rossi a recitare le sue poesie in piazza. Perché Angelo non aveva mai smesso di essere in continuo stupore nei confronti del mondo, seppure ammantato dal disincanto dell’età matura e ben sapeva che il canovaccio dell’esistenza, confezionato da menti affinate al tornaconto, ci costringe, battuta dopo battuta, ad affannarci per guadagnare comunque le luci del proscenio, dove gli applausi divengono fragori di connivenze.

Perché sapeva che l’arte non è mai didattica, né consolazione: ma viene dalla luce.

… Se torneremo alla luce/sarà per filamenti, per orme, per gocce,/ per schizzi sformati, per sapori,/per condivisioni inverse,/linguaggi sparsi, per figure nascenti nella notte: (daTrigonometria di ragni, 1993, Bompiani) sono queste le Distanze che trasfigura Angelo Scandurra. E che è giusto, adesso, ravvisare.

Angelo era un poeta civile e non certo perché asserviva la sua parola ai temi cari alla moda impegnata dei tempi. Ma proprio perché non rinunciava alla cifra verticale della vita: la resistenza che, oggi, richiede la poesia. Il disconoscere di un sorriso ferrato dalla vita.

Sono così i poeti: sembrano gli ultimi perché non importa essere i primi di una gerarchia spiantata. Fanno con le mani la realtà e non sentono la condanna della loro solitudine. Temono, piuttosto, ciò che li relega a compagnie vacue.

Angelo, l’ha scritto, difendeva con strenuità il tono perché entrare nella morte è passo breve. Ed è proprio il suo tono che ci rimane, quello lungo una vita, che ancora custodiamo come progetto comune. Perché avrebbe ben potuto mantenere per sé una vocazione. Invece la sua poesia era di tutti e la poesia degli altri era la sua.

Riconosceva come un Maestro e sembrava avesse ancora da imparare. Come coloro che riconoscono il bene della semplicità, dopo ogni personale abisso o irriverenza, la qualità dell’uomo. Fuori dal corpo e con il corpo, fuori dall’anima e con l’anima.

Era in sé perfetto come sono perfetti coloro che conoscono il silenzio delle sirene dopo il canto.

Non è vero che la morte di un poeta raggiunga presto l’eternità dei versi. Lasciamo che attraversi il nostro corpo, nella vitalità che ci è concessa. Che sia eredità la sua voce con l’incanto di cui ci avvertiva. Il suo, il nostro. In qualche modo, ancora, stupefacente inchiostro di Sicilia.

IL GIRASOLE DEI GIRASOLI

di Angelo Scandurra

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