Dal colpo miliardario alla ristorazione: gli affari del boss a Roma, 11 arresti - Live Sicilia

Dal colpo miliardario alla ristorazione: gli affari del boss a Roma, 11 arresti

Al centro dell'inchiesta la figura di Francesco Paolo Maniscalco

Il palermitano Francesco Paolo Maniscalco si era trasferito dalla Sicilia a Roma e qui avrebbe riciclato i soldi della mafia. I carabinieri del Ros hanno arrestato in totale undici persone su richiesta della Procura di Roma.

All’operazione, denominata Gerione, oltre ai militari del Raggruppamento operativo speciale, partecipano anche i militari di altri comandi provinciali.

L’indagine è della Direzione distrettuale antimafia della Capitale e vengono contestati i reati di trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio, tutti commessi per agevolare Cosa Nostra.

Sono stati sequestrati diversi beni. L’ordinanze di custodia cautelare chiesta dalla Procura guidata da Michele Prestipino raggiunge Maniscalco in carcere, dove era già detenuto.

Una volta finito di nuovo in carcere, secondo i carabinieri del Ros agli ordini del generale Pasquale Angelosanto, gli affari di Maniscalco sarebbero andati avanti grazie a una rete di prestanome. Uno di loro si era intestato un bar a Trastevere.

Ma chi è Maniscalco? C’era anche lui nel commando che nel 1991 svuotò il caveau del Monte di Pietà a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui non si è saputo più nulla.

Nella sua fedina penale c’è anche una condanna per mafia con il suo nome legato a Totò Riina e al figlio di quest’ultimo, Giuseppe Salvatore. Nel 2016 gli fu sequestrato un patrimonio che vale 15 milioni di euro. Maniscalco, dopo avere finito di scontare nel 2006 una condanna a sei anni e otto mesi per il maxi colpo, era diventato un imprenditore. Si era lanciato soprattutto negli affari del caffè. Molti beni gli sono già stati confiscati. Non tutti, alla luce del blitz di oggi. Di recente è finito pire sotto inchiesta per il giro di scommesse organizzato dai boss, capaci di ottenere delle licenze dai Monopoli di Stato.

Nell’indagine romana è emerso il ruolo dei fratelli Salvatore e Benedetto Rubino, legati a contesti mafiosi palermitani. Il primo “investimento” risale al 2011 con l’apertura del bar-pasticceria “Sicilia e Duci srl” (trasferitosi da Testaccio a Trastevere nel 2015). Nel 2016 fu sequestrato. Prima del provvedimento gli indagati avrebbero svuotato il patrimonio societario, aprendo, sempre a Trastevere, il bar da “Da Nina”, oggi sottoposto a sequestro preventivo.


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