Antonella, la tragedia di una bambina: ma ora serve rispetto - Live Sicilia

Antonella, la tragedia di una bambina: ma ora serve rispetto

Il dolore immenso per la morte della piccola Antonella e il necessario rispetto.

In tanto buio l’unica fessura da cui filtra un po’ di luce è la generosità che è partita dalla stazione del dolore per provare a raccontare una storia diversa. Ma è un cammino da via crucis, pieno di piaghe dell’anima, perché la ferita totale non sarà mai richiusa. La dottoressa Tania Lazzaro, direttore della rianimazione pediatrica dell’Ospedale dei Bambini, che ha visto tutto da vicino, l’ha detto con precisione: “Siamo molto provati perché in pochi giorni abbiamo vissuto due tragedie. Per entrambi i casi mi sento di dire che queste coppie di genitori, dopo il loro gesto eroico, hanno rivisto le loro figlie adagiate non in un letto di morte ma in un letto di vita. Questo lo snodo comune legato al dono. Siamo tutti provati. Ma questa ‘luce’ io l’ho vista”. Due vicende in una: quella di qualche giorno fa e di un espianto dopo la morte di una bambina di nove anni, quella di Antonella, bambina di dieci anni della Kalsa, morta dopo una ‘sfida social’, secondo la cronaca fin qui disponibile. Pure in questo caso, nonostante l’ondata dello strazio, i genitori hanno donato gli organi della figlia. Le parole che punteggiano la decisione tracciano una luminosità che vuole espandersi per prendere il posto del buio. “Abbiamo scelto di dire sì alla donazione perché nostra figlia avrebbe detto ‘si, fatelo’. Era una bambina generosa. E visto che non potevamo averla più con noi, abbiamo ritenuto giusto aiutare altri bambini”. 

Quelle sentenze sul dolore

Poi ci sono state altre parole: le peggiori, nel tribunale delle coscienze sul web. Chi si è scagliato, chi ha sentenziato, chi si è arrogato il diritto di rilasciare un parere definitivo o una condanna, in una trama che ha molte tessere che devono essere incasellate. Con il risultato di rendere più angosciante il passaggio estremo vissuto da una famiglia e da una comunità. Ogni opinione dovrebbe essere cauta, al momento, e conforme al rispetto. Talvolta non è accaduto. Forse perché siamo incapaci, ormai, di soffermarci sul sentimento assoluto della perdita e di attraversarlo con le domande che pone. Preferiamo la rabbia con le sue risposte perfino sbagliate, ma immediate. Preferiamo trovare un colpevole, senza averlo neanche cercato con lucidità, purché sia subito disponibile.

I lupi nel bosco dei social

E c’è, ovviamente, suscitata dalle narrazioni incrociate dell’evento, la questione dei social e del loro rapporto con l’infanzia e con l’adolescenza, ma va affrontata senza che costituisca un capo d’accusa specifico, proprio per le scarse certezze che abbiamo, per il sentimento di rispettosa vicinanza a una famiglia così duramente travolta. “Entrare nei fatti di cronaca è sempre molto difficile, soprattutto quando si configurano come tragici incidenti di percorso di cui poco sappiamo – avverte con prudenza lo psicoterapeuta Calogero Lo Piccolo -. Forse è più utile riflettere sul terreno che ha reso possibile quel particolare incidente”. Appunto, si discuta nell’astrazione dei sistemi, lasciando il fatto concreto a chi dovrà appurare cosa realmente sia successo. In quella astrazione, la domanda si porrà ogni volta che vedremo un bambino che regge in mano uno smartphone: chi veglia sugli agguati del lupo eventuale per ogni Cappuccetto rosso che si addentri nel bosco?

Infatti, dice Francesca Picone, psichiatra dell’Asp: “I genitori sempre più spesso abdicano e non riescono a dire di no all’uso o all’acquisto del cellulare. Non c’è un’età uguale per tutti per essere pronti all’utilizzo, ogni bambino non è pronto in egual modo e nello stesso tempo. Bisogna che i genitori siano in qualche modo presenti nella vita online dei propri figli, non controllando, ma sicuramente vigilando”. Una vigilanza affettiva come quando, anni fa, i più piccoli non venivano lasciati soli, la sera, davanti alla televisione, il bosco tecnologico dell’epoca, e indirizzati da un adulto che indicava le strade.

La tragedia di una bambina

Gli adulti, già. Che dovrebbero desiderare le risposte soltanto dopo l’accettazione della sfida delle domande e che possono popolare la rete con la stessa leggerezza che, almeno, nei bambini ha una sua giustificazione nella mancanza di esperienza, nell’insufficienza dei paesaggi osservati e nell’innocenza. Gli adulti che avrebbero bisogno di una educazione sentimentale per leggere gli stati d’animo correttamente. Oltre tutte le parole, questa che raccontiamo è la tragedia di una bambina e della sua famiglia. Tenendolo presente – riconoscendo lo strazio, con l’amore che esso contiene – anche noi, che ne siamo stati sfiorati e non travolti, potremo scorgere una fessura illuminata nella densità del buio.


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