La Prima Repubblica senza i Craxi e gli Andreotti - Live Sicilia

La Prima Repubblica senza i Craxi e gli Andreotti

La crisi di governo riporta in auge tutto l'armamentario di un tempo.
SEMAFORO RUSSO
di
3 min di lettura

Che bello! Ne avevamo nostalgia. Sì, una scarica di adrenalina ci voleva tra mascherine, distanziamento e lockdown, nel bel mezzo di una pandemia senza precedenti, nel vortice di un collasso economico da far tremare i polsi. Sicuramente ci stanno invidiando, in Europa e pure negli Stati Uniti di Joe Biden. Finalmente, nonostante l’emergenza sanitaria, una complicata campagna vaccinazioni e il difficile lavoro sulla spesa dei 209 miliardi del Recovery Fund, siamo riusciti ad assaporare ugualmente le sontuose liturgie tipiche di una crisi di governo: riunioni, incontri a due, a tre, a quattro, vertici, telefonate, dichiarazioni, interviste, ricatti, avvertimenti, accordi sotto e sopra banco, promesse, voglia di occupare questo o quel ministero, questo o quel sottosegretariato. Insomma tutto l’armamentario ereditato dalla Prima Repubblica in versione aggiornata.

Sì, perché una cosa è mettere una crisi di governo in mano a un Craxi, a un Andreotti, a un Forlani, a prescindere dal Muro di Berlino e dai loro scheletri negli armadi, altro paio di maniche affidarsi agli attuali inquilini dei piani alti del potere, a Renzi, a Zingaretti, con una spruzzatina di Casini, a Di Maio, ottime persone, per carità, semplicemente non si comprende che cavolo di “genialate” potrebbero partorire. Forse una comune domanda se la stanno ponendo per la gioia pure di Salvini e Meloni: che ne facciamo di Conte? Marcucci, capogruppo del PD al Senato, è stato onesto, ha detto che non bisogna impiccarsi al nome dell’avvocato. In fondo che meriti ha Conte? Si è soltanto ritrovato a fronteggiare l’evento sanitario più catastrofico degli ultimi settant’anni, in un Paese la cui sanità pubblica è stata tagliata vergognosamente proprio da chi ora lo trafigge, con una pubblica amministrazione veloce come il bradipo, con un immenso debito pubblico accumulato dai suoi odierni avversari. Aveva ri-conquistato un po’ di credibilità in Europa e ottenuto ingenti risorse finanziarie, bagatelle. Da lui abbiamo preteso mancanza di errori, infallibilità nelle scelte, la moltiplicazione infinita dei ristori, la magica conoscenza del comportamento del virus con le sue mutazioni. Abbiamo preteso da lui ciò che nessun governante sulla Terra ha assicurato ai suoi governati. Da lui abbiamo preteso la sconfitta del Covid-19 a dispetto dell’ostilità di molti presidenti di Regione che in cambio di qualche voto hanno messo a rischio la salute nazionale, a dispetto dei no-mask, dei no-vax, dei cultori del “se muoiono migliaia di persone non è affar mio, nessuno tocchi la mia libertà assoluta”. Abbiamo massacrato il presidente del Consiglio che come prescritto dall’Europa (e dal buon senso) pensava a una task force per il controllo del Recovery Plan sottraendolo non al Parlamento ma alla voracità di partiti e partitini, di lobby e corporazioni. Però, è giusto, mai impiccarsi al nome di qualcuno. Soprattutto se il “qualcuno” è troppo estraneo a un mondo in cui perfino i grillini, gli ex vaffa, cominciano a muoversi con una certa destrezza, il parco giochi delle alchimie politiche, del detto e non detto, delle pugnalate alle spalle per amor di patria.

Evidentemente c’è chi pensa che eliminato Conte avremo la soluzione di tutto, arriverà trionfante l’Uomo della Provvidenza e Renzi e compagni – attenzione, la crisi è esplosa sì per Renzi ma ce la ritroviamo addosso a causa dei numerosi “renzini” presenti in ogni forza politica di maggioranza (ex) e di opposizione – saranno tanto soddisfatti da non minare più il campo amico. Francamente non so ora cosa succederà, so che nasceranno nuovi gruppi parlamentari a soccorrere non si sa bene cosa e chi, che si scatenerà la corsa alla salvezza (scansare le elezioni) magari evitando di impiccarsi al nome di Giuseppe Conte se ciò serve per tornare alla “normalità” di quei vecchi, dolcissimi riti del Palazzo.

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