Conti del Comune in squilibrio, le opposizioni: "Verso il dissesto" - Live Sicilia

Conti del Comune in squilibrio, le opposizioni: “Verso il dissesto”

Tre le possibili strade: tasse più alte, tagli ai servizi o alle partecipate

PALERMO – Le strade sono soltanto tre: aumentare le tasse, tagliare i servizi o ridurre i corrispettivi delle partecipate. Altrimenti i conti del comune di Palermo andranno a rotoli e non sarà nemmeno possibile chiudere il bilancio di previsione 2021, con le opposizioni che agitano lo spettro del dissesto. Più che una tegola, quella che è caduta sulla testa dell’amministrazione di Leoluca Orlando assomiglia a un macigno che pesa milioni e milioni di euro: tanti ne mancano all’appello per poter rimettere in equilibrio entrate e uscite della quinta città d’Italia.

Un allarme messo nero su bianco dalla Ragioneria generale, a cui il sindaco aveva chiesto una relazione dettagliata sul perché la manovra di bilancio non fosse ancora pronta. E la risposta non si è fatta attendere: il bilancio del 2021 non è ancora chiuso perché mancano 10,9 milioni di euro per quest’anno, 12 per il 2022 e 10 per il 2023, il che significa che i conti sono in squilibrio e non è possibile rimetterli a posto a meno di aumentare le tasse o di tagliare i servizi. “Dopo mesi in cui il sindaco ha nascosto la verità e ha affermato che il sistema economico-finanziario Palermo era stato messo in sicurezza, la verità è sotto gli occhi di tutti e il re è nudo – attacca Ugo Forello, componente della commissione Bilancio – Il Comune di Palermo presenta uno squilibrio, sprovvisto di coperture, di oltre 30 milioni di euro per il prossimo triennio 2021-2023 che potrebbe, addirittura, essere anche più pesante se si dovesse contabilizzare anche l’aumento di circa 24 milioni del fondo rischi e contenzioso. Così non si può chiudere il bilancio dell’anno in corso, è il preludio al dissesto e la logica e amara conclusione di un periodo di amministrazione dissennato e fuori controllo”.

La voragine degli accantonamenti

Se sul fronte dei debiti commerciali piazza Pretoria ha fatto meglio del previsto, riducendo a 5,6 i milioni che la giunta deve stanziare entro febbraio per il relativo fondo di garanzia, i soldi non bastano per coprire tutto il resto. Il problema è legato all’enorme mole di denaro che il comune di Palermo, così come tutti gli altri comuni d’Italia, è costretto ad accantonare, sottraendolo alla spesa corrente, per evitare le voragini tipiche del passato sul fronte delle mancate entrate. Un fenomeno raccontato bene dai numeri del consolidato 2019, quando piazza Pretoria ha dovuto appostare 79 milioni per il fondo perdite aziende, altri 76 per il fondo contenzioso rischi e spese legali e ulteriori 47 per la mancata riconciliazione con le partecipate; niente in confronto al Fondo crediti di dubbia esigibilità che da solo vale 843 milioni di euro, di cui 308 ancora da versare nei prossimi 15 anni.

Le tasse non pagate inguaiano il Comune

Il punto è che tutto questo ancora non basta. Il Fondo crediti di dubbia esigibilità serve infatti a coprire gli eventuali buchi di bilancio che potrebbero crearsi a causa del mancato introito delle tasse: in poche parole, più i contribuenti fanno i “furbi” e più un ente locale è costretto a mettere da parte dei soldi per evitare ammanchi. I “crescenti obblighi di accantonamento – scrivono gli uffici – sono funzione diretta della scarsissima e decrescente propensione del Comune alla riscossione delle proprie entrate”. Palazzo delle Aquile ha già deciso di rivolgersi ai privati per migliorare la propria capacità di riscossione, ma il cambio potrebbe arrivare troppo tardi e la peggiore capacità di riscossione non farebbe altro che aumentare i soldi da versare nel Fondo.

Impossibile tagliare ancora

“Allo stato attuale – si legge nella relazione – si ritiene che non possa più procedersi al ripiano dello squilibrio 2021-2023 con analoga attività di revisione dei capitoli di spesa, in quanto comporterebbe la conseguenza di mettere a rischio lo svolgimento delle funzioni ordinarie che l’ente è chiamato a svolgere”. Insomma, tutto quello che si poteva tagliare è stato tagliato e adesso siamo arrivati all’osso: pensare di raschiare ancora di più il fondo del barile significherebbe bloccare alcune delle attività del Comune, lasciando in piedi soltanto quei pagamenti obbligatori per legge. L’ultima speranza è rappresentata da un intervento del Parlamento nazionale, così come chiesto dall’Anci, ma la crisi romana complica non poco le cose.

Tre strade obbligate

Ecco perché il Comune non ha molta scelta: per riportare in equilibrio i conti e trovare i soldi che mancano si dovranno ritoccare al ribasso i contratti di servizio delle partecipate (che da sole assorbono il 40% della spesa), aumentare le tasse o non erogare più i servizi non indispensabili come alcuni di quelli a domanda individuale (musei, asili, mense e impianti sportivi). In alternativa, “il riequilibrio dovrà obbligatoriamente essere conseguito attraverso gli strumenti straordinari previsti per gli enti deficitari”. Una formula elegante per dire che il rischio concreto è quello del dissesto.

Ma gli uffici tengono a precisare che il problema dei conti è legato agli accantonamenti e non ad altri problemi di cassa, tanto che il Comune ha addirittura ridotto del 10% l’importo dei debiti commerciali e accorciato i tempi di pagamento dai 39 giorni del 2019 ai 18 del 2020. Una magra consolazione, se si pensa che la situazione è talmente allarmante da aver costretto il Comune a usare i 214 milioni derivati dalla lotta all’evasione per la spesa strutturale.

Il fondo contenzioso

Tutto qui? No, perché in questi numeri non è stato ancora compreso il nodo del Pef Tari 2020 (che vale altri 34 milioni) e c’è anche il problema del fondo contenzioso. Il 20 gennaio l’Avvocatura comunale ha infatti scritto per ritoccare al rialzo la cifra prevista che da 76,3 milioni (già accantonati) è schizzata a 100 milioni per il solo 2021, il che significa che in bilancio bisognerà trovare subito altri 24 milioni.

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