La spesa del boss e il ruolo delle Istituzioni - Live Sicilia

La spesa del boss e il ruolo delle Istituzioni

Si sta tornando alla mafia silente, sotto traccia, lontana da plateali e sanguinose manifestazioni di forza.
SEMAFORO RUSSO
di
2 min di lettura

Un boss mafioso a Palermo si preoccupa di distribuire la spesa ai poveri durante il lockdown, un capomafia agrigentino si auto proclama la soluzione al caos sociale e alternativa al “banditismo” in tempo di miseria. Lo dicono le indagini, le intercettazioni telefoniche e ambientali. Insomma, la mafia riferimento del welfare, la mafia garante dell’ordine pubblico. Verrebbe da ridere se non fosse tutto maledettamente serio. Le cronache giudiziarie di questi giorni, con le ultime encomiabili operazioni delle forze dell’ordine e della magistratura di contrasto a Cosa Nostra, ci offrono spunti di amara riflessione.

Seppellita, speriamo definitivamente, la fase stragista firmata Totò Riina, secondo una concezione di contrapposizione diretta con lo Stato che non mantiene le promesse (la vicenda ancora aperta riguardante la cosiddetta “Trattativa”), si sta tornando alla mafia silente, sotto traccia, lontana da plateali e sanguinose manifestazioni di forza. Meno pericolosa? Tutt’altro, se ciò significa incunearsi in modo venefico nel tessuto sociale, oltre che politico, economico e finanziario della Sicilia. Sarebbe la ripresa del famigerato controllo del territorio, la riconquista del consenso sociale, indispensabile a boss e gregari come l’ossigeno per respirare, lo sfruttamento a scopo criminale del bisogno, l’uso strumentale dell’assenza delle istituzioni, o presenti soltanto per riscuotere tasse ed esercitare il potere di repressione, al fine di legare a sé interi nuclei familiari, pezzi significativi di società, i pezzi più sofferenti. E conta poco se ci si lascia irretire per necessità e non per convinzione. Si torna, praticamente, alle origini, quando gli stessi Falcone e Borsellino dicevano a chiare lettere che la lotta alla mafia non può essere affare soltanto di giudici e poliziotti, ma innanzitutto delle istituzioni cittadine, regionali e statali che hanno il compito di eliminare alla radice le ragioni che conducono al malefico rapporto tra la criminalità organizzata e ampi strati della popolazione. Senza contare il sinistro fascino che coppole e lupara tuttora suscitano tra i giovani abbandonati dalla politica, privi di una speranza di futuro. Per questo è stato ucciso padre Puglisi, a causa della sua quotidiana opera evangelica in mezzo ai ragazzi di Brancaccio nel tentativo di strapparli a un destino quasi automatico di killer ed esattori del pizzo. Purtroppo, però, non accade nulla, si assiste al rituale profluvio di dichiarazioni e promesse, ma di atti concreti ben poco. Non basta il sussidio, bisogna andare a monte.

Le istituzioni hanno un compito diverso dalla Caritas e dalle associazioni di volontariato, devono curare la malattia non i sintomi, specialmente in materia di politiche giovanili, un grosso buco nero qualunque colore abbia la bandiera di chi ci governa. La colpa, in definitiva, non è di chi accetta la spesa da un boss mafioso, è di chi, investito di pubbliche funzioni, lo ha reso possibile. 

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