Vittime, divorzi e sensi di colpa: i medici travolti dal Covid

Vittime, divorzi e sensi di colpa: i medici travolti dal Covid

Medici e operatori siciliani travolti dalla pandemia, chi se ne prende cura.

PALERMOIl medico che parla sotto la mascherina, da qualche parte, davanti a un ospedale, è un amico. Dunque, incontrarsi è un’occasione amabile, anche se l’abbraccio è vietato. Gli è stata somministrata la seconda dose del vaccino più di due settimane fa. Ha stati d’animo duplici. E’ contento di essere sulla riva sicura della pandemia, ma quello che osserva continua a sgomentarlo, nel computo quotidiano di vittime. Ed è il lutto che appanna uno sguardo altrimenti chiaro. Basta moltiplicarlo per scorgere il monolite del dolore di coloro che indossano un camice perché hanno la benedetta ossessione di salvare vite umane. Se sei un medico, accetti la sofferenza e l’accompagni, perché accompagni colui che ne porta il peso. Ma il Covid ha dilatato tutto. E’ come in guerra, dove puoi accorrere, seguendo la voce che chiede aiuto nella battaglia. Corri una, dieci, cento volte. E se troppe persone non riesci a tirarle fuori, allora sei tu che resti sepolto nella cenere degli addii altrui.

Il professore Daniele La Barbera, psichiatra, è, tra l’altro, un benvenuto frequentatore di queste pagine. Ha un linguaggio limpido e diretto che invita alla sensibilità. E si occupa anche, nello specifico, di operatori sanitari in ‘burnout da Covid’. Il burnout, cioè – spiega il professore -: “Quella condizione di esaurimento emozionale legata al fatto che le richieste lavorative superano le possibilità di farvi fronte. Se sei un professionista scrupoloso, paghi un prezzo più alto”. A lui si sono rivolti in tanti che lavorano nei reparti. Non si entra certo nei particolari. Si traccia una condizione generale con cui fare i conti.

“Siamo stati coinvolti come medici e come psichiatri, come persone – racconta il professore – alle prese con una patologia sconvolgente e imprevedibile, per cui non immagini nemmeno come evolverà il caso che hai sotto gli occhi. C’è un problema di tenuta fisica e psicologica inimmaginabile. Conosco colleghi di origine siciliana, in servizio al Nord, che sono tornati qui per qualche giorno e avevano intenzione di licenziarsi, perché non ce la facevano più. Alcune famiglie sono saltate per aria, con le separazioni e i divorzi dovuti proprio al burnout. Pure a Palermo ci sono tante situazioni del genere. Ho ascoltato le parole disperate di medici che non sapevano chi assistere prima, perché i pazienti che chiedevano aiuto erano tantissimi, troppi. Ed è una vicenda che va avanti da un anno, estremamente logorante, senza contare i decessi di tanti eroici professionisti”.

Il libro delle storie, da proteggere con la privacy, è immenso. “C’è un medico che si è infettato e poi si sono contagiati la mamma e altri parenti. Immaginiamo il senso di colpa? – dice il professore La Barbera -. Immaginiamo cosa vuol dire vedere morire i pazienti a un ritmo mai sperimentato, in una situazione che nessuno aveva visto o studiato, quindi senza esperienza. Sì, il prezzo più alto lo pagano i più sensibili”.

Anche il professore Antonello Giarratano, del Policlinico, raccontava a LiveSicilia, commentando i dati tremendi delle terapie intensive: “Tanti colleghi anestetisti rianimatori sono in burnout: sopportano un carico tremendo e difficilmente ciò potrà ancora durare a lungo”.

Storie di umanissima normalità, in un contesto straordinario, impastate di fragilità e di coraggio, come per tanti. Le narrano quegli occhi sopra la mascherina. Che hanno visto mariti e mogli dirsi addio. Che hanno traslocato per proteggere i familiari dalla missione di chi va in ospedale. Che si sono isolati in cantina, convivendo con la paura, ma cercando sempre la speranza. Persone con il camice come unico e friabile scudo sono morte e hanno assistito alla morte come non era mai accaduto prima. Non lo dimenticheranno mai.


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