Draghi e la crisi del populismo: i travagli di Lega e M5S - Live Sicilia

Draghi e l’inizio della fine del populismo: i travagli di Lega e M5S

Come in un improvviso risveglio, l'opinione pubblica riscopre conoscenza e competenza come valori.
IL COMMENTO
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Qualcosa di enorme sta accadendo in Italia in queste ore. Un meccanismo si è messo in moto con il naufragio del secondo governo Conte e l’incarico conferito a Mario Draghi dal Presidente della Repubblica. E’ qualcosa che ancora solo si intravede ma che potrebbe portare la politica e la società di cui la politica, piaccia o meno, è sempre uno specchio a mutamenti rapidi e molto significativi. E il fatto che questa metamorfosi giunga nel pieno della più grande emergenza dalla Seconda guerra mondiale a oggi non è certo casuale.

Effetto Draghi sul populismo

Per comprendere meglio il processo che si è avviato in questi giorni è utile concentrarsi sui due soggetti politici che negli ultimi tre anni sono stati centrali sulla scena e nei consensi, il Movimento 5 Stelle e la Lega. Entrambi oggi incontreranno il premier incaricato. Si tratta di due partiti che sommati hanno raccolto nelle ultime due elezioni dal profilo più politico, cioè le Europee e le Politiche, qualcosa di più della metà dei consensi. Due facce della stessa medaglia, la Lega nella su versione salviniana e il Movimento grillino, soggetti politici che hanno avuto nella comunicazione politica populista/sovranista la chiave del loro successo.
A entrambi, adesso, l’inizio dell’era Draghi fa venire le scarpe strette. E impone un bivio che può portare a una revisione significativa della linea di questi anni. I grillini e i leghisti dovranno scegliere in queste ore se stare dentro o fuori. E la scelta non sarà indolore. Perché se prevarrà la linea della “maturità”, quella che sembra in questo momento farsi strada nel Movimento e che non è esclusa da Salvini, l’immagine antisistema dei due partiti uscirà molto mutata.

I due Carrocci

La Lega si trova di fronte a una scelta non facile. Da una parte c’è la sua anima antica, quella radicata sul territorio, quella che fa del Carroccio uno dei due ultimi veri “partiti” nel senso tradizionale rimasti in Italia (l’altro è in qualche misura il Pd), cioè un soggetto politico con una classe dirigente radicata sul territorio, con un certo pluralismo di anime e una leadership scalabile, e con un’identità legata alla “tradizione”. Quella leghista ha il suo zoccolo duro nei mondi produttivi del Nord, quelli a cui sarebbe davvero difficile oggi spiegare che si manda a carte e quarantotto l’opportunità offerta dalla nascita del governo Draghi.

Il fascino discreto della serietà

Salvini in questi anni ha attuato un disegno diverso, trasformando la Lega Nord in partito nazionale puntando su quella comunicazione rivolta alla pancia che lo ha premiato nei consensi. Ma che oggi mal si concilia con il mood del momento. L’apparizione di Draghi sulla scena sta riaccendendo nell’opinione pubblica italiana la sensibilità verso il fascino discreto ma irresistibile dell’affidabilità. Come un coniuge in crisi che ha perso la testa per una fiamma conturbante ma scende poi a più miti consigli tornando a rifugiarsi tra le braccia rassicuranti del partner di una vita, anche tra gli italiani potrebbe farsi strada la voglia di moderazione e affidabilità dopo l’ubriacatura populista di questi anni. Sarà che questi mesi atroci hanno aperto gli occhi a tanti sul fatto che sui social puoi condividere (se sei indignato) tutte le più improbabili bufale su farmaci e vaccini che vuoi ma se finisci malconcio in ospedale gradisci che chi ti cura sia almeno laureato e abilitato. E non all’università di Facebook.

Tutti europeisti

La Lega dovrà scegliere tra la sua vocazione originaria e quella di nuovo conio. La scelta di Giorgia Meloni che preferisce mantenere il suo partito sulle redditizie (in termini di consenso) posizioni del lepenismo alla romana, complica il dilemma per il leader del Carroccio. Se prevarrà l’idea di Giorgetti e il sentiment vecchio stampo, è probabile aspettarsi che nell’era Draghi la Lega progressivamente rinunci a certi spartiti, magari tentando grazie ai buoni uffici di Silvio Berlusconi, l’ingresso nel Ppe (che già tiene dentro Orban, figurarsi se non può digerire un Salvini reloaded).
Discorso simile vale per i grillini. Se il Movimento vorrà proseguire sulla strada del “contismo” e del rapporto strategico con il centrosinistra non gli resterà che bere o affogare. D’altronde, i richiami all’europeismo del suo aspirante leader Giuseppe Conte non sono già un palese cambio di paradigma per un partito il cui fondatore vaneggiava di uscire dall’euro? Se la nuova cifra dei pentastellati sarà sempre più quella simildemocristiana dell’avvocato Conte, il processo di cui sopra accelererà.

Risveglio dal sogno

L’impressionante curriculum di Draghi paragonato a una certa desolante e diffusa impreparazione di molta classe dirigente di questi anni sta suscitando una sorta di risveglio dal sogno in questi giorni. Calamitando la politica verso una più o meno dichiarata abiura della sparata grossa, a partire dall’antieuropeismo, verso posizioni che nell’ultimo anno e mezzo sono state appannaggio di due mini-partiti, Azione e +Europa, gli unici a non essersi messi a braccetto di populisti e sovranisti.

L’ignoranza disvalore

Non mancano, com’è ovvio, i complottardi e dietrologi irriducibili, ma la sensazione, sbirciando qua e là sui social e ascoltando qualche chiacchiera, è che l’idea che l’ignoranza sia un disvalore e la conoscenza un valore stia riprendendo piede. E visto il copione degli ultimi anni questa è una notizia tutt’altro che scontata.

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