"Mi ha detto l'ho ammazzato": confessione di un omicidio

Mafia e sangue: “Mi ha detto l’ho ammazzato, volevo sparare io”

Il capomafia dello Zen parla di un delitto del 2015 e si rammarica per non avere fatto parte del commando

PALERMO – Quel paio di occhiali marca Gucci fu un dono e al contempo suggellava un patto fra Fabio Chianchiano, che stava per entrare in carcere per restarci a lungo, e Francesco L’Abbate, colui che avrebbe dovuto prendersi cura dei familiari del detenuto.

Chianchiano è stato condannato a 20 anni di carcere in appello per l’omicidio di Franco Mazzè, trucidato la domenica della Palme del 2015, in piazza allo Zen. Una delle tante esplosioni di violenza avvenute nel quartiere palermitano. L’Abbate è stato arrestato nelle scorse settimane con l’accusa di essere il capomafia, assieme a Giuseppe Cusimano della famiglia mafiosa del rione che fa parte del mandamento di San Lorenzo.

Il 22 aprile 2020 L’Abbate è stato intercettato mentre raccontava alla moglie: “…questi da dove vengono… di Gucci… (diceva indicando gli occhiali, ndr) questi me li ha lasciati Fabio quando lo hanno arrestato… e certo, ammazzò a quello ed è venuto a casa”.

Il movente dell’omicidio (guarda il film del delitto) è stato rintracciato in vecchi dissapori. Mazzè aveva rischiato di morire dieci anni prima sempre per mano di Chianchiano. Una storia di fidanzamenti incrociati degenerò in violenza. Prima Mazzè spezzò il braccio a Chianchiano che l’aveva appellato “cornuto e sbirro”. Quindi Chianchiano reagì sparando dei colpi di pistola contro il rivale mentre era in sella ad una moto guidata da un complice.

Vecchi dissapori divennero nel tempo scontro aperto per la gestione degli affari sporchi, droga soprattutto, quando entrambi i contendenti furono assoldati da Cosa Nostra. Per un po’ sono rimasti sopiti grazie alla mediazione di altri pezzi grossi. Fino al marzo 2015. Prima la lite in un bar fra Chianchiano e uno dei fratelli Mazzè e poi all’agguato.

È una vicenda che L’Abbate diceva alla moglie di conoscere bene. Addirittura avrebbe voluto e dovuto essere lui a uccidere Mazzè. Sarebbe stato il suo secondo omicidio. Nel 2004 L’Abbate, infatti, confessò di avere ucciso un idraulico incensurato. Il corpo di Giuseppe Luparello fu abbandonato da due persone al pronto soccorso dell’ospedale Villa Sofia. Sarebbe morto poco dopo per il colpo di pisola che lo aveva raggiunto al petto.

Subito dopo l’arresto, L’Abbate confessò l’omicidio. Disse di avere sparato alla vittima al culmine di una lite. Le indagini fecero emergere una vicenda mai chiarita fino in fondo. La lite era seguita a un’orgia organizzata in una villa a Carini. L’incontro a luci rosse fu confermato dal padrone di casa e dalle due donne che vi presero parte.

Una volta scarcerato L’Abbate si sarebbe ritagliato il ruolo di capomafia dello Zen dove si era imposto con la violenza. Fosse stato per lui avrebbe ammazzato pure Mazzè. Alla fine rinunciò a fare parte del commando di morte perché sua madre, che aveva sentito il figlio mentre ne parlava con Chianchiano, era stata colta da un malore ed era svenuta.

L’Abbate ricordava la fase immediatamente successiva al delitto quando Chianchiano “… dice… l’ho ammazzato… gli ho detto: lo so perché da dentro ho sentito i colpi… dopo dieci minuti è venuto… mi ha detto dice vedi che è morto… mi raccomando i bambini… dice… perché ora mi arrestano… ti raccomando ai bambini, devi fare finta che sono i tuoi figli… ci stavo andando pure io… perché ci volevo sparare io a questo… lo sai perché non ci sono andato? Perché mia madre si è messa a fare la pazza ed è caduta lunga, lunga a terra e si è sentita male…ci sarei io al posto suo…”.


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