Dall'eroina agli appalti: "Gli affari del clan Santangelo" - Live Sicilia

Dall’eroina agli appalti: “Gli affari del clan Santangelo”

I verbali dei pentiti entrati nei faldoni dell'inchiesta Adrano Libera
CATANIA, IL BLITZ
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Ad Adrano lo spaccio di eroina è gestito dal clan Santangelo-Taccuni. Da anni, dunque, la cosca alleata alla famiglia catanese di Cosa nostra pur di fare soldi spaccia veleno. L’eroina è la droga della morte. L’incubo degli anni ’80, con i tragici decessi per overdose, sembra dietro l’angolo. La famiglia mafiosa utilizzerebbe gli introiti della vendita dell’eroina per il ‘mantenimento dei detenuti’. Un dettaglio che emerge dall’inchiesta della Squadra Mobile Adrano Libera scattata ieri mattina.

Un colpo durissimo al clan è arrivato nel 2009 con il blitz Terra Bruciata. Dopo quell’operazione è stato necessario per i Santangelo ricompattare le fila e riorganizzarsi.

Il pentito Antonino Zignale, genero di Giuseppe La Mela (coinvolto nell’inchiesta Adrano Libera, ndr) racconta che “nell’estate del 2009 il clan si stava riorganizzando e le persone di spicco erano Gino Trovato, Antonino Santangelo detto u pisciaru, Angelo Pignataro detto zappuda, e gli stessi mi vennero a cercare per rientrare nel gruppo per occuparmi di spaccio, ma di eroina”.  Insomma un compito preciso.

I verbali del collaboratore di giustizia sono finite nell’ordinanza firmata dal gip Giovanni Cariolo: un appendice importante per poter ricostruire l’organigramma della cosca. Zignale offre ai magistrati una prima mappa del potere: “Nel periodo 2014-2015 e sino al suo arresto il vero responsabile del clan, nominato dallo stesso suocero Alfio Santangelo era Nino Quaceci che si occupava di estorsioni e di rapporti con altri clan anche di Catania. Poi sempre nel clan con ruoli di rilievi vi erano Nino Crimi, genero di Alfio Santangelo, Salvatore Crimi, fratello di Nino detto Turi u cani, poi Gianni Santangelo. detto Giannetto, Tonino Bulla detto u picciriddu, Antonino e Giuseppe La Mela, e per un periodo anche Alessio Samperi che poi è stato allontanato”. Le indagini e le intercettazioni portano al nome di Gianni Santangelo come ‘vertice’ del clan, a cui si affiancano una serie di fedelissimi. Tra cui la nuova leva, il boss in ascesa Toni Ugo Scarvaglieri. 

Sono moltissimi i pentiti che hanno contribuito a completare il puzzle investigativo dell’operazione della polizia. Nel 2017 Valerio Rosano racconta di quell’incontro chiarificatore che nel 2014 fa rientrare a pieno titolo Vincenzo Rosano pipituni all’interno del clan Alfio Santangelo. L’ex affiliato degli Scalisi – storici referenti dei Laudani – Gaetano Di Marco ricorda che prima di scegliere la strada della collaborazione i Santangelo avevano come responsabili “Nino Santangelo, figlio di Alfio e Nino Quaceci”. Giuseppe Liotta racconta che “dopo la morte di Nino Santangelo ricordo che avevo un ruolo di comando Salvatore Crimi, quale fratello di Nino Crimi genero di Alfio Santangelo”. Il pentito Salvatore Paterniti Martello mette ai vertici della piramide “Gianni Santangelo”. 

Non solo droga nel centro di gravità dei Santangelo -Taccuni. Ma anche appalti. Il killer di Belpasso (ex Malpassotu) Carmelo Aldo Navarria ha invece raccontato ai magistrati di un particolare incontro a cui ha partecipato anche il boss Alfio Santangelo insieme a importanti capimafia di Cosa nostra come Antonio Tomaselli e Francesco Santapaola (figlio di Turi Colluccio) in cui si sarebbe discusso di un’importante opera collegata alla ferrovia Circumetnea. 

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