Tabacchi e pane e panelle: "Sono investimenti del boss"

Tabacchi, pane e panelle: “Sono investimenti del boss”

Confiscati alcuni beni di Luigi Salerno, di Porta Nuova

PALERMO – I boss aprono bar, ristoranti, paninerie, pollerie, tabaccherie, supermercati, agenzie di scommesse e pescherie. Ripuliscono i soldi sporchi attraverso il cibo che mangiamo e le sigarette che ammorbano la salute di chi le fuma. La mimetizzazione di Cosa Nostra passa dagli investimenti economici che si confondono nella quotidiana normalità delle città. E così diventa complicato scovare i soldi. Complicato ma non impossibile.

La sezione Misure di prevenzione del Tribunale, presieduta da Raffaele Malizia, ha confiscato i beni di Luigi Salerno, anziano boss della famiglia di Palermo Centro. Tra questi ci sono una focacceria in via Maqueda e una tabaccheria in via Ignazio Mormino, rione Zen. Si tratta del provvedimento di primo grado, dunque appellabile, che conferma il sequestro deciso nel 2019. Le indagini patrimoniali sono state eseguite dai finanzieri del Gico del Nucleo di polizia Tributaria di Palermo. Le attività proseguono in amministrazione giudiziaria.

La panineria e la rivendita di tabacchi erano, secondo l’accusa, solo formalmente intestati ad Emanuele Versaggio e Giuseppe Bosco. Le intercettazioni avrebbero fatto emergere che in realtà Salerno era il vero dominus. “Questi mi fanno perdere la tabaccheria… buttiamo a mare 500 mila euro di roba”, diceva Salerno criticando la gestione del suo presunto prestanome.

Nel caso del negozio di street food – Salerno ha fiutato le potenzialità della pedonalizzazione di via Maqueda – parlando con la proprietaria dell’immobile le diceva: “Vede che bel negozio… entro il mese apriamo”.

Non sono i primi beni che vengono tolti a Salerno. Sotto sequestro era già finita la “Tabacco & Caffè” di via Gaetano Daita a cui è legata un’altra vicenda di cronaca. Prima gli danneggiarono il negozio e poi, quando Gino Salerno chiese spiegazioni, gli dissero che “si doveva tappare la bocca e non sparlare di persone del mandamento e di non immischiarsi in nulla. Io e mio fratello riferimmo tale cosa a Salerno che non fece alcuna obiezione”.

A raccontarlo è stato il pentito del Borgo Vecchio, Giuseppe Tantillo. La notte dell’8 agosto 2015 qualcuno aveva piazzato due piccole bombole di gas davanti alle vetrine. Una si incendiò, ma non esplose. L’altra sfiatò e fece cilecca. Si pensò subito al racket, ma gli eventi successivi dimostrarono che si trattava di altro movente.

“Un giorno Paolo Calcagno (in carcere con l’accusa di essere stato il capomafia del mandamento di Porta Nuova, ndr) nel mese di giugno 2014 ci incaricò – mise a verbale Tantillo – di fare un danneggiamento al negozio bar di via Daita di Gino Salerno. Il motivo era perché parlava male di gente del mandamento e poi aveva rapporti con il pentito Fava. Io e mio fratello Domenico abbiamo ordinato di fare il danneggiamento con una bomboletta di gas e della benzina”.

Giuseppe Di Giacomo, poi assassinato alla Zisa, aveva incaricato Alessandro D’Ambrogio, reggente del mandamento di Porta Nuova, di avvicinare Salerno per chiedergli un finanziamento da 100 mila euro per un traffico di droga. Salerno avrebbe preso tempo, provocando la collera di Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano, che gli rimproverava le sue “mancanze” nei confronti dell’organizzazione, della quale avrebbe fatto fatto parte solo “per curare i suoi interessi”. C’è di più, perché Giovanni Di Giacomo aveva incaricato il fratello di pedinare Salerno, forse con il proposito estremo di eliminarlo.

Proprio nel corso dell’immissione in possesso nel bene di via Daita l’amministratore giudiziario trovò i numeri telefonici dei titolari della tabaccheria di via Mormino. Da qui gli investigatori del Gico hanno ricostruito la rete di interessi di Salerno coadiuvato dal genero Giuseppe Bosco Giuseppe.

Il tribunale ha invece confermato il dissequestro di una serie di immobili di proprietà della famiglia Fricano, di Domenico Messina e Anna Scurato e anche il “Caffè Bora Bora di Vercio Antonino” di via Trabia”. Sono difesi dagli avvocati Nino Giallombardo, Nino Zanghì, Rosanna Vella, Antonino De Lisi, Michele Rubino, Corrado Sinatra.


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