Confiscati i beni del boss Maniscalco, restituito il Gran Cafè San Domenico - Live Sicilia

Confiscati i beni del boss Maniscalco, restituito il Gran Cafè San Domenico

Decisione della Corte di appello per le Misure di prevenzione. Dalla rapina al Monte di Pietà agli affari romani

PALERMO – Confermata la confisca dei beni del mafioso Francesco Paolo Maniscalco, mentre la Corte di appello ha ordinato la restituzione di due bar a Teresa Maria Di Noto. Quest’ultima non è prestanome di Maniscalco e dunque rientra in possesso del Bar Trilly di via Cusmano e del Gran Cafè San Domenico nell’omonima piazza. La decisione è della Corte di appello presieduta da Aldo De Negri.

Maniscalco era diventato un pezzo grosso nel settore del caffè. Confermata la confisca dei seguenti beni: “Sicilia e Duci distribuzione snc di Maniscalco Giuseppe”, “Cieffe Group ingrosso Caffè” intestata alla moglie Daniela Bronzetti, Bar Intralot di via Carlo Pisacane, “Caffè Florio di Zaccherone Maria” con sede in via Quattro Coronati.

Storia giudiziaria tormentata quella di Maniscalco. Di lui si iniziò a parlare nel 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà, a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui non si è saputo più nulla. Del commando faceva parte Maniscalco. Nella sua fedina penale c’è anche una condanna per mafia con il suo nome accostato a quello di Totò Riina.

Dopo avere finito di scontare nel 2006 una condanna a sei anni e otto mesi si era lanciato nel mondo degli affari. Maniscalco, secondo i pubblici Calogero Ferarra e Dario Scaletta, cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre.

Nel 2016 il sequestro di beni, confermato nel 2018 dalla sezione Misure di prevenzione che ha giudicato Maniscalco socialmente pericoloso perché “dopo avere espiato le pur lunghe pene detentive” ha dato prova di una “totale indifferenza verso il monito costituito dalla misura di prevenzione e dalle pregresse esperienze giudiziarie e detentive”.

Di recente si sono aggiunti nuovi tasselli alla storia di Maniscalco che si era trasferito dalla Sicilia a Roma e qui avrebbe riciclato i soldi della mafia. I carabinieri del Ros hanno arrestato nei mesi scorsi undici persone su richiesta della Procura di Roma e sequestrato diversi beni. Una volta finito di nuovo in carcere gli affari di Maniscalco sarebbero andati avanti grazie a una rete di prestanome. Uno di loro si era intestato un bar a Trastevere.

Nell’indagine romana è emerso il ruolo dei fratelli Salvatore e Benedetto Rubino, legati a contesti mafiosi palermitani. Il primo “investimento” risale al 2011 con l’apertura del bar-pasticceria “Sicilia e Duci srl” (trasferitosi da Testaccio a Trastevere nel 2015). Nel 2016 fu sequestrato. Prima del provvedimento gli indagati avrebbero svuotato il patrimonio societario, aprendo, sempre a Trastevere, il bar da “Da Nina”, ora sottoposto a sequestro preventivo.

La scorsa estate ancora guai giudiziari per Maniscalco finito sotto accusa per un giro di scommesse organizzato dai boss, capaci di ottenere delle licenze dai Monopoli di Stato. Maniscalco sarebbe stato una pedina fondamentale del grande affare delle scommesse sportive che avrebbe consentito alle famiglie mafiose di Pagliarelli, Porta Nuova, Brancaccio, Corso dei Mille, Palermo Centro di riciclare soldi sporchi.

L’avvocato Giovanni La Bua

La Corte di appello ha invece restituito i beni a Teresa Maria Di Noto, difesa dall’avvocato Giovanni La Bua. La donna era stata processata e assolta dall’accusa di essere stata prestanome di Maniscalco. I due bar, Trilly e Gran Cafè San Domenico, sarebbero stati in realtà di Maniscalco. L’avvocato La Bua ha fatto emergere che l’assoluzione definitiva dal reato di intestazione fittizia di beni ha reciso ogni possibile ipotesi di continuità illecita negli affari fra Di Noto e Maniscalco.


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