'Applooos...', come eravamo ai tempi dello Zio Pippo

‘Applooos…’, come eravamo ai tempi dello Zio Pippo

Mondello, le estati, i giochi e i rimpianti. Zio Pippo, non ti scorderemo mai.

Tanto per cominciare bisogna capire come pronunciava la parola ‘applause’. Per chi scrive: applooos… con un allungamento delle vocale. Secondo altre fonti, epplos. Oppure applous, intercalato da vocaboli di un linguaggio da bravo presentatore con spezzoni di siciliano friggi e mangia. Ma la questione è soprattutto storica, non soltanto di affetto e di dolore: come eravamo noi ai tempi dello Zio Pippo Taranto, recentemente scomparso a ottantuno anni? Già, come eravamo noi ai tempi dello Zio Pippo? Ed è una domanda a cui diverse generazioni risponderanno, appunto, diversamente.

Per chi scrive, i tempi dello Zio Pippo erano quelli in cui i monti sorridevano per Heidi e le caprette facevano ciao, con una espressività caprina che nessuno, tranne la suddetta Heidi, ha mai decifrato. Tempi bambini. E i bambini lo amavano. Questo succedeva con l’inverno che incombeva e minacciava i gerani sul balcone, mentre, a casa, l’odore dei quaderni di scuola si mescolava con il profumo della cioccolata calda. D’estate si andava a Mondello, dove Zio Pippo regnava da signore cortese della battigia, con i suoi giochi. Aveva un suo meccanismo scenico di precisione, oliato dall’esperienza: un incrocio tra Pippo Baudo, Mike Bongiorno e uno zio vero, quello che portava i cannoli la domenica. E sfoggiava una pettinatura anni Ottanta, cotonata e perfetta, secondo i canoni estetici dell’epoca. Poi è rimasto un invincibile contemporaneo. Uno che non disertava l’appuntamento con il megafono e con la gentilezza, come testimonia il sacrosanto tributo di queste ore. Suo figlio Riccardo ha scritto: “E’ stato un uomo buono, generoso e un padre meraviglioso”. Ed è vero.

A quei tempi, gridare era considerato un sintomo di maleducazione, giammai di virilità. Per esempio, se Nando Martellini commentava Italia-Brasile, non alzava il timbro di un semitono, mantenendo una imperturbabile equidistanza che lo portava a riferire: “Calcio d’angolo per gli italiani”. Lo zio Pippo non si sottraeva al canone della morbidezza, secondo le forme del garbo. Introduceva se stesso, in trasmissione o tra le cabine, con passo felpato, e immediato scattava l’applooos. E sembrava Sanremo. Quando era Sanremo.

Come eravamo ai tempi dello Zio Pippo? Migliori, né sembri un rimpianto astruso scriverlo nero su bianco. Le persone si incontravano, lungo i viali di marzo o di giugno, scambiando parole umane, guardandosi negli occhi. Le faccine non erano state inventate. I viaggi in ascensore, con un estraneo, avevano qualcosa di misterioso e silente. E siccome nemmeno lo smartphone era stato inventato, se non volevi chiacchierare, dovevi per forza fissare la targhetta del peso, manco fosse la Cappella Sistina, prima di sfiatare per il sollievo, quando le porte si aprivano al piano. Erano ascensori con la ringhiera, spesso, davano sulle case dei nonni, delizia dei bambini.

A quei tempi, i tempi dello Zio Pippo, i bambini erano ancora bambini ed esserlo era una cosa, tutto sommato, semplice. Non venivano immortalati e poi replicati sui social. Non erano convocati come testimoni sul banco delle giornate degli adulti. Erano bambini. E basta. E si poteva telefonare, per cercare chicchessia, in ufficio o a casa. Mai dopo le otto di sera, se quel chicchessia era già in famiglia. Oppure, dopo le otto, in caso di scoppio di conflitto atomico.

Erano questi i tempi dello Zio Pippo. E quelli eravamo noi, nelle foto di una volta. Il Cornetto Algida, la meta da sognare, come lo scudetto della Juve tra le figurine Panini. Heidi ci sorrideva. Un universo indimenticabile. Roma era sempre caput mundi, Mondello concorreva per il secondo posto. Perciò, siamo tristi, ora che lo Zio Pippo Taranto se n’è andato e lo salutiamo, sventolando il nostro cuore come se fosse un fazzoletto rosso tra le dita. Ma lo pensiamo comunque felice. In Paradiso sono tutti bambini.


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