Il boss Gaetano Fontana, pentito vero o bluff? Presto la risposta

Il boss Gaetano Fontana, pentito vero o bluff? Presto la risposta

L'inizio è tentennante. Finora non ha convinto i pubblici ministeri. Ora ha chiesto di essere sentito

PALERMO – L’inizio della collaborazione di Gaetano Fontana è tentennante. Finora non ha convinto i pubblici ministeri di Palermo. Ora ha chiesto di essere sentito nell’ambito dell’inchiesta che lo vede indagato assieme ad altre 83 persone. Ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini e potrà mostrare la sua reale volontà di collaborazione.

Al momento resta in carcere e non è stata neppure proposto per il programma di protezione. Né lui, né i suoi familiari. Il boss dell’Acquasanta ribadisce di volere parlare, ma nega di essere attualmente un mafioso. Lo è stato fino alla metà degli anni Novanta, ma ora quel mondo non gli appartenga più.

E nega pure che mafioso sia stato il padre Stefano, oggi deceduto, pezzo da novanta della Cosa Nostra palermitana. Le indagini, vecchie e nuove, vanno in tutt’altra direzione. Il suoi coinvolgimento nelle dinamiche criminale sarebbe attuale e di vertice.

Il prossimo interrogatorio servirà a svelare le carte. Altrimenti quello di Fontana sarà catalogato come un bluff. O tutto o niente. Per essere credibile Gaetano Fontana deve svelare i segreti che conosce.

Oggi ha 45 anni, ma compariva per la prima volta nelle cronache giudiziarie quando non era ancora maggiorenne, accusato dell’omicidio avvenuto nel 1992 di un piccolo spacciatore, Francesco Paolo Gaeta. La storia dell’allora sedicenne si intrecciava con uno dei grandi misteri italiani: il fallito attentato all’Addaura ai danni del giudice Giovanni Falcone.

Il 21 giugno del 1989 un commando a bordo di un gommone si avvicinò via mare alla villa che ospitava il magistrato insieme alla collega svizzera Carla Del Ponte. Fecero degli errori e furono costretti a battere velocemente in ritirata abbandonando sugli scogli un borsone pieno esplosivo. Si lanciarono in mare, fingendosi sub.

La storia si faceva misteriosa: qualcuno avrebbe riconosciuto in Angelo Galatolo, boss dell’Acquasanta, uno dei membri del commando incaricato da Totò Riina di fare saltare in aria Falcone. Quel testimone era Francesco Paolo Gaeta, tossicodipendente e spacciatore della borgata palermitana che stava facendo il bagno poco distante. Per anni la vicenda rimase oscura, fino a quando una decina di anni si pentì un altro dei Fontana, anche lui di nome Angelo, ed è lo zio di Gaetano.

Si autoaccusò dell’omicidio di Gaeta e fu condannato all’ergastolo: non fu un banale regolamento di conti nel sottobosco dello spaccio, ma qualcosa di molto più serio. Per quel delitto in primo grado era stato condannato a sette anni anche il nipote di Angelo Fontana, Gaetano, ma in appello fu assolto.

Finora è stato poco convincente. Se non raccontasse tutto resterebbe da capire da capire cosa ci sia dietro il suo annuncio di volere collaborare.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI