Poliziotto indagato, sospeso e ora riammesso in servizio

Poliziotto indagato, sospeso e infine riammesso in servizio

L'accusa del legale: "Il suo telefono, mentre si trovava sequestrato, è stato riacceso e manipolato”

PALERMO – Il questore di Palermo, Leopoldo Laricchia, ha riammesso in servizio l’assistente Fabrizio La Mantia, il poliziotto coinvolto nell’indagine “Dirty Cars”, l’inchiesta sul riciclaggio di autovetture rubate a Napoli e trasportate a Palermo.

L’istanza di revoca della sospensione e riammissione in servizio era stata presentata dall’avvocato Gioacchino Genchi a seguito dell’ordinanza del tribunale del Riesame di Palermo, presieduto da Alessia Geraci, che aveva annullato la misura cautelare dell’obbligo di firma disposta dal giudice per le indagini preliminari. Il gip non aveva accolto la richiesta della Procura di una misura cautelare detentiva.

Secondo la difesa, si legge nell’istanza presentata dall’avvocato Genchi, erano “venuti meno i presupposti di fatto e di diritto che avevano determinato l’adozione della sospensione cautelare dal servizio”.

La Mantia è indagato per falso in atto pubblico, ricettazione e simulazione di reato. Nel corso delle indagini preliminari, dopo il sequestro del pc e dei cellulari di La Mantia il suo legale, in passato tra i più noti consulenti di procure e tribunali, ha analizzato lo smartphone del poliziotto.

“Ci siamo insospettiti quando su un nuovo cellulare il mio assistito ha cercato di recuperare il backup di WhatsApp dell’account, riattivato su un’altra sim – racconta il legale – Il recupero del backup non è stato possibile perché, dopo il sequestro, mentre i cellulari dell’indagato si sarebbero dovuti trovare sigillati presso la procura di Palermo, qualcuno li aveva accesi e aveva manomesso le chat. L’operazione anomala, peraltro, era pure avvenuta in orari notturni, quando l’app aveva iniziato un nuovo backup nello smartphone sequestrato”. Sono parole gravi quelle che pronuncia il legale.

Il pm ha nominato un consulente tecnico, facendo notificare all’indagato l’avviso di accertamenti irripetibili sui suoi cellulari. L’avvocato Genchi, però, ha chiesto l’incidente probatorio al gip. Il giudice lo ha accolto bloccando, di fatto, tutte le indagini tecniche che stava svolgendo la Procura.

“Il gip ha nominato un perito – l’avvocato rincara la dose – che, dopo avere eseguito la copia forense degli smartphone sequestrati a La Mantia, ha accertato che, in effetti, dopo il sequestro, quando i cellulari dovevano trovarsi sigillati, erano stati eseguiti diversi interventi nelle chat di WhatsApp che avevano alterato l’integrità e la completezza dei messaggi. In tutto questo, l’ultimo backup di WhatsApp dell’indagato, eseguito la notte prima del sequestro, era andato irreversibilmente compromesso per la maldestra interruzione della procedura, in occasione di una delle tante incursioni notturne, in cui il suo telefonino, mentre si trovava sequestrato, è stato riacceso, manipolato”.

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