Il futuro della magistratura e l'ipotesi del sorteggio al Csm - Live Sicilia

Il futuro della magistratura e l’ipotesi del sorteggio al Csm

L'analisi del procuratore aggiunto di Catania, Francesco Puleio.
GIUSTIZIA
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Ne “La maledizione dello scorpione di giada”, piccolo gioiello della sterminata produzione cinematografica di Woody Allen, il protagonista, l’esilarante investigatore privato C.W. Briggs, interpretato dallo stesso regista, vive in stato di ipnosi: indaga su una serie di furti di gioielli e poi scopre di averli rubati lui, mentre era in trance.

Oggi, il sortilegio dello “Scorpione di giada” attanaglia la Magistratura. Ed il campo di battaglia è quello del sorteggio al CSM. Alcuni magistrati sostengono che, per superare le degenerazioni correntizie e consentire il dispiegarsi dell’autonomia e dell’indipendenza effettiva dei giudici, finalmente liberati dal timore e dal servaggio nei confronti dei Capo Rais locali e dei Mammasantissima nazionali, occorra estrarre a sorte i componenti del CSM. Idea non nuova in sé, fu proposta nel 1971 dal segretario dell’MSI, Giorgio Almirante, ed era contemplata nel famoso “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli. Nonostante la nobiltà delle origini, sono personalmente convinto che questa tesi strampalata rappresenti invece un arretramento complessivo della dignità e identità della Magistratura, e quindi della sua capacità di continuare ad incidere positivamente (come ha fatto, pur tra incertezze, difficoltà e mutamenti di rotta, negli ultimi cinquant’anni) e nei termini previsti dall’ordinamento costituzionale, sul controllo di legalità nel nostro Paese, attualmente consentito anche dalla presenza di un  CSM che viene eletto, e non sorteggiato con i bussolotti tra non indegni aspiranti.

Chi propugna la tesi del sorteggio, afferma dunque che si dovrebbe stabilire secondo i capricci della dea Fortuna, come il giudice Brigliadoca di Rabelais, che risolveva le cause tirando i dadi, la composizione dell’Organo di autogoverno della magistratura. Ma uno non vale uno: porre alla guida di organizzazioni investite di gravi responsabilità soggetti inadatti od improvvisati comporta conseguenze spesso catastrofiche: e dovrebbero avercelo insegnato recenti vicende in cui competenza, accortezza e soluzioni consapevoli sono talvolta andate a gambe all’aria. Scriveva qualche anno fa Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte costituzionale, a proposito dei progetti di riforma del sistema elettorale del CSM: “[Il] sistema del sorteggio […] mi sembra il più irrazionale  di tutti, giacché sottrarrebbe gli eletti ad ogni valutazione di capacità da parte degli elettori e non contribuirebbe peraltro ad evitare le trattative correntizie, ma solo di affidarle al caso, aggiungendo una forte componente personale di chi, sentendosi svincolato da ogni responsabilità, potrebbe regolarsi – com’è avvenuto in ambito universitario – sul motto ‘ora o mai più’ ”. 

E, a conferma di ciò, nessuno ha mai proposto di estrarre a sorte i membri del Governo o gli amministratori delle grandi imprese pubbliche; nel settore privato, non si transige sul principio di competenza. Per fare un esempio paradossale (ma non troppo), persino nelle riunioni della Cupola o della Santa non risulta che qualcuno si sia mai sognato di suggerire che Cosa nostra o la ‘Ndrangheta si affidassero alle carte dei Tarocchi  per selezionare il Capo dei Capi. Probabilmente, l’incauto consigliere sarebbe stato sciolto nell’acido all’istante.

Sostengono i fautori del sorteggio che lo stesso avverrebbe tra magistrati (magari con una certa anzianità e senza demeriti): quelle stesse persone che possono infliggere una condanna, sequestrare un’azienda, incidendo in maniera oggettiva sulla vita delle persone o perfino sull’economia di settori produttivi o città, e che quindi sicuramente il sorteggio riguarderebbe persone dotate di tutti gli strumenti per operare al CSM.  Io ritengo che l’argomentazione vada esattamente rovesciata: ma come è possibile concepire che una 

Istituzione i cui componenti (che non sono precisamente un gruppo di persone accomunate da interessi più o meno leciti o uniti dalla incoercibile vocazione al fancazzismo, ma gli appartenenti ad “ordine dello Stato, autonomo ed indipendente da ogni altro potere”, art. 104 Cost.) possono decidere ergastoli, fallimenti e separazioni e non riescono poi – attraverso una legge elettorale adeguata – a scegliere dei rappresentanti che non siano frutto di collusioni e di comparaggi e, soprattutto, che non passino le loro serate a programmare, giocando a domino con le vite personali e professionali dei colleghi, l’organigramma dei principali Uffici giudiziari del Paese ed i loro diretti tornaconti? Come si può conciliare nel CSM la presenza di componenti eletti dal Parlamento, e quindi, si deve presumere, prescelti per specifica preparazione e merito, con altri (per giunta appartenenti alla medesima Istituzione, giustamente gravati di ben maggiori responsabilità), individuati come, secondo Erodoto, i Persiani nominarono il sovrano: “Raggiunta la decisione di affidare il potere a uno solo, si decide che allo spuntar del sole, saliti in sella, colui il cui cavallo avesse nitrito per primo, avrebbe avuto la regalità: così, grazie a un trucco, Dario diventa re (Le storie, III, 84-87)”.

La strada del sorteggio del CSM conduce direttamente ed immediatamente al depotenziamento del ruolo e delle funzioni della Magistratura nel suo complesso, e quindi all’affievolimento delle garanzie e dei presidi di  legalità di ciascuno, di cui Essa è custode. Un sistema che rinuncia a priori alla possibilità di individuare i componenti di un fondamentale organo di garanzia per sperare che la pallina della roulette si fermi su un  numero fortunato, condanna la giurisdizione ad una insanabile perdita di autorevolezza e legittimazione, e  la rende inetta alla composizione della conflittualità civile ed impotente a reagire alle sempre più frequenti e micidiali aggressioni della criminalità organizzata, disorganizzata (e talora autorizzata). Non c’è alternativa, si dice ormai sempre più spesso, e sovente a sproposito. Ma in questa materia non c’è spazio per la seduzione di sirene e di magici pifferai: davvero non c’è alternativa. Accettare ed anzi sostenere dall’interno una riforma (non a caso propugnata dall’esterno da settori tradizionalmente restii non dico all’innalzamento, ma persino al mantenimento della soglia di controllo di legalità sin qui effettuata) che comporta una tale ferita alla autonomia e indipendenza della Giustizia significa segare il ramo sul quale, non per sua comodità e convenienza, ma nell’interesse della collettività, la Magistratura è stata appollaiata dalla  Costituzione, che non a caso ha previsto l’elezione e non il sorteggio dei componenti del CSM. Significa lavorare per il re di Prussia. 

Francesco Puleio, Procuratore aggiunto di Catania

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