L'abuso del ruolo: un fenomeno estirpabile? - Live Sicilia

L’abuso del ruolo: un fenomeno estirpabile?

L'intervento dell'avvocato Paolo Grillo
GRILLO PENSANTE
di
3 min di lettura

Pochi giorni fa le Sezioni Unite Civili della Cassazione si sono pronunciate, annullando con rinvio un precedente proscioglimento, sulla responsabilità disciplinare di un magistrato al quale veniva rimproverato, tra le altre cose, di avere abusato del proprio ruolo nell’ambito di una scuola di preparazione al concorso in magistratura. Nonostante sia stato assolto con formula piena in un primo processo, dovrà celebrarsi un nuovo giudizio disciplinare davanti al CSM.


L’affaire che fa da sfondo a queste tortuosità giudiziarie assurse agli onori delle cronache circa quattro anni fa: un prestigioso corso di studi destinato ad aspiranti magistrati, ma nel quale alle borsiste erano proposte clausole contrattuali che con codici e leggi avevano ben poco a che fare perchè riguardavano la lunghezza della gonna da indossare e l’altezza dei tacchi “ammessa” nel minuzioso elenco di quel curioso dress code. Sarà un limite dell’uomo medio, ma riesce davvero difficile comprendere – da un punto di osservazione rigorosamente tecnico – per quale motivo chi avesse voluto approcciarsi all’amministrazione della giustizia usufruendo di una borsa di studio, avrebbe dovuto badare al trucco o ad altri dettagli di ispirazione, diciamo così, extragiuridica. Ciò che rende necessario una riflessione non è tanto il singolo episodio di cronaca, né tantomeno la circostanza che in quel caso il protagonista di un determinato episodio – ancora tutto da valutare – fosse un magistrato. Conoscendo la reazione media delle folle è questo specifico aspetto che avrà indotto i più ad indignarsi: invece quei fatti avrebbero avuto identica rilevanza anche se fossero stati rimproverati ad un professionista, ad un docente o a un qualsiasi altro soggetto rivestito di una qualche forma d’autorità. Sotto questo profilo ciò che mi sembra davvero interessante è la strumentalizzazione del disequilibrio dei ruoli nelle relazioni lavorative o formative.

Ancora oggi, nonostante il bombardamento educativo delle coscienze ai valori del rispetto e dell’uguaglianza di genere, questo fenomeno si dimostra tremendamente attuale. Ogni ambiente di lavoro o di studio, pubblico o privato che sia rappresenta un’occasione potenzialmente favorevole per l’abuso della posizione di sovraordinazione nei riguardi di chi in quel contesto è la parte debole. Non è detto che quest’ultima debba necessariamente coincidere con la figura femminile, però osservando ciò che solitamente accade non si può negare che sia più frequentemente l’uomo a far valere abusivamente – con o senza violenza – la propria autorità professionale, lavorativa o comunque gerarchica per conseguire ciò che andrebbe cercato all’interno di una relazione rigorosamente paritaria.

L’ipotesi a parti invertite, cioè con la donna abusante del proprio ruolo, non è teoricamente impossibile ma soltanto meno ricorrente e probabilmente meno studiata rispetto a quella opposta, che risulta infatti coincidente con lo stereotipo stesso dell’abuso di genere. Non si può nemmeno escludere che per qualcuno la donna che facesse leva sulla propria posizione apicale per guadagnarsi i favori del malcapitato di turno potrebbe essere persino un sogno proibito, piuttosto che un fatto da denunciare in Procura: eppure anche in questa ipotesi il grado del disvalore non sarebbe diverso da quella più “classica” del medesimo fenomeno.

Ecco perchè nonostante tutto l’impegno sul fronte del contrasto alla violenza di genere, tanto da aver inzeppato l’ordinamento penale di norme specificamente rivolte alla sua prevenzione e repressione, nonostante le giornate tematiche, le trasmissioni televisive, il “codice rosso” e i centri antiviolenza rimane ancora molto da fare per sradicare l’abitudine mentale – forse connaturata all’essere umano senza distinzione di sesso – a sfruttare una posizione di vantaggio per ottenere ciò che andrebbe conseguito in altro modo. Ci riusciremo? La speranza, in questo come in altri casi, è l’ultima a morire.

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