Imprenditore 'ostaggio' della burocrazia: dirigenti regionale condannati

Imprenditore “ostaggio” della burocrazia: dirigenti condannati

La motivazione della sentenza è un durissimo atto di accusa contro la pubblica amministrazione regionale
CORTE DEI CONTI
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PALERMO – La lentezza burocratica costa caro a tre dirigente regionali. Sono stati condannati dalla Corte dei Conti a sborsare 146 mila euro ciascuno.

La motivazione della sentenza è un durissimo atto di accusa contro la pubblica amministrazione, incapace di rispondere alle istanza del privato che diviene “ostaggio” della burocrazia.

I dirigenti del dipartimento Territorio e ambiente Pietro Tolomeo (dirigente generale), Vincenzo Sansone e Salvatore Anzà devono sborsare 146 mila euro ciascuno.

Assolti Francesca Marcenò, dirigente del dipartimento Industria e Gioacchino Genchi, dirigente del dipartimento Territorio e ambiente. Erano difesi dagli avvocati Massimiliano mangano e Mauro Barresi.

La condanna di primo grado, dunque appellabile, è meno pesante del milioni e 400 mila euro complessivi, circa 290 mila euro ciascuno, chiesti dalla Procura contabile.

Il danno erariale, contestato dalla Procura guidata da Gianluca Albo, lo ha subito la Regione siciliana che nel 2016 ha dovuto risarcire la New Energy srl, una società romana che avrebbe voluto realizzare a Ragusa un impianto di energia alimentato da biomasse. Il via libera è arrivato con incomprensibile ritardo, quando ormai la società aveva perduto il finanziamento europeo.

La storia della New Energy inizia nel 2006, quando viene presentata la richiesta di autorizzazione. Una conferenza di servizi nello stesso anno dà il via libera che però arriva solo tre anni e mezzo dopo, nel 2010. In mezzo ci sono solo pastoie burocratiche, richiese di pareri e contro pareri bollati come superflui, e rimpalli di responsabilità.

La New Energy si è rivolta alla giustizia amministrativa che gli ha dato ragione sia in primo grado, al Tar, che in appello davanti al Cga. Il “protrarsi del procedimento amministrativo” è stato “ingiustificato e illegittimo”.

Alla fine secondo i giudici contabili è all’Assessorato regionale al territorio che la pratica si sarebbe bloccato e non al dipartimento all’Industria.

“La vicenda in esame denuncia un contesto di pervicace resistenza al cambiamento e la diffusa incapacità degli apparati amministrativi di recepire l’istanza ordinamentale – si legge nella motivazione -. La complicata, contorta, esitante serie procedimentale in cui il privato è rimasto ostaggio si sviluppa in un labirintico e perverso crescendo di competenze, ora reclamate ora negate, di sovrapposizioni e sorprese istruttorie intervallate a silenzi e vuoti decisionali, determinazioni ondivaghe, pareri legali contraddittori, che hanno turbato la linearità e la correttezza del naturale sviluppo del contatto procedimentale”.

Ed ancora si parla di “incapacità organizzative, scarsa razionalità delle procedure, resistenze a oltranza a dismettere ambiti di potere e logiche procedimentali-organizzative tralatizie, incapacità degli stessi vertici politico-istituzionali dell’assessorato di mettere ordine alle competenze e alle procedure” che “hanno contribuito a sterilizzare gli istituti di semplificazione previsti dal legislatore e a dimenticare l esigenza di certezza e tempestività della risposta attesa dal privato entrato in contatto con la pubblica amministrazione”.

Le persone citate in giudizio si sono difese sostenendo di avere rispettato le procedure. Che i ritardi, gli intoppi e il mancato via libera non è imputabile a loro colpe, semmai a quelle di altri. Il ricorso in appello è scontato.


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