Io, vaccinatore in Fiera, sognando un'altra estate

Io, vaccinatore in Fiera, sognando un’altra estate

Il racconto prezioso di una esperienza irripetibile.

Una volta non era così.

Una volta, andare in Fiera del Mediterraneo era un appuntamento fisso al quale non si rinunciava mai. Era l’anticipo primaverile della festa estiva. Era una fiumana di gente lungo il vialone centrale, pieno di coloratissime attrazioni; era incontrarsi con decine di conoscenti in mezzo a milioni di sconosciuti; l’odore caramellato nell’aria; lo zucchero filato; il fermarsi negli stand dai nomi esotici o nelle bancarelle, fra pentole antiaderenti e inutili arnesi che con un solo colpo, zac, affettavano una mela in otto parti. Una volta si tampasiava mollemente fra i capannoni, per la prima uscita in abiti leggeri, con il maglioncino pastello a tracolla e con la mente tutta rivolta lì, dove tutto confluiva, compreso i desideri: al luna park. E da lì, dall’ultimo semicerchio in alto dell’otto volante, immediatamente prima del precipizio che ti portava lo stomaco alla gola, potevi quasi toccare il Castello Utveggio, incastonato nel pieno del Monte Pellegrino, a suggerirti che l’estate stava arrivando; un’estate siciliana, un’estate felice.

No, una volta non era come sabato scorso. Una telefonata inaspettata mi aveva precettato, la sera prima, come un richiamo alle armi: domani e domani l’altro a vaccinare in Fiera, due turni otto/venti. Un richiamo breve e lapidario; un altro impegno inatteso dentro l’inatteso di tutta questa epopea pandemica. Una disposizione non obbligatoria, beninteso, come non è obbligatorio ringraziare per un dono ricevuto, soccorrere chi è in difficoltà, dare un po’ del proprio a chi non ha molto. Ma spesso ciò che non è obbligatorio è invece doveroso, così finisce per essere un obbligo ancora più stringente.

Mattina piovosa. Una pioggia fuori luogo, perché la pioggia non ha mai avuto diritto d’asilo dove nascono le estati. Neanche qui, dove il selciato, i marciapiedi e i padiglioni un tempo coloratissimi hanno assunto un grigio d’occasione, umido di foschia e bagnato di pioggia. Ma non ero affatto contrariato: il piccolo sacrificio del fine settimana non ha paragoni con chi ha sacrificato molto, molto di più, quest’anno. Soldato semplice, siringa alla mano, in missione di pace e di salute. La guerra è ancora in corso.

Lo scenario è preoccupante. Una quantità enorme di gente; una transumanza da status bellico in una fila lunghissima, inesauribile, costantemente alimentata. Pioggia e freddo sembrano programmati da una crudele regia nascosta proprio per sovraccaricare il disagio dell’attesa. Ma dentro il capannone ci si dà da fare in ogni modo, la disorganizzazione non ha colpevoli con dolo; semmai, si affronta da impreparati una ‘prima volta’ che caldamente ci si augura unica.

In piccoli ambienti separati da pareti leggere si realizza finalmente il conforto di un tu per tu, al momento della puntura. Nel breve spazio di qualche minuto si incontrano persone, si incrociano sguardi, si ascoltano storie-bonsai. Si può anche sorridere. Ad esempio, si nota l’assoluta incompatibilità tra il lessico nostrano e la parola “Pfizer”, divenuta, in ordine sparso – cito a memoria – ‘fais’, ‘pais’, ‘paz’, ‘faz’, ‘saiz’, fino agli improbabili ‘frizer’ e ‘panzer’. Quando, poi, un vecchietto l’ha rinominata ‘brioss’ gli ho stretto la mano, provando un sentimento di vera commozione. Un virologo spontaneo mi ha reso edotto che “non è pericoloso tanto il virus, quanto la proteina Spic e Span”, che, minacciosa, una volta entrata nell’organismo umano “muzzica le cellule”. Ma ho provato una sincera tenerezza quando una giovane figlia del popolo mi ha detto con viso affranto di accompagnare il nonno al vaccino, preoccupata non solo per la sua età, ma anche perché “troppo invulnerabile”.

E il gesto sempre uguale di pungere mi ha esposto a tante analisi. Al fatto che la pelle di ognuno di noi, ad esempio, come ognuno di noi è unica ed irripetibile. Pelli che raccontano di noi; pelli coriacee, morbide, secche, chiare, scure, tatuate; reattive all’ago, come piante carnivore; oppure insensibili, come chi ha sofferto già tanti dolori da ritenere inefficace qualunque tortura ulteriore. E poi occhi; quasi sempre grati, sinceri, riconoscenti. Se è vero che la guerra è ancora in corso, è anche vero che tutte le guerre finiscono, prima o poi.

Uscendo di sera tardi, qualcuno mi ha detto che “oggi abbiamo superato 3.000”. Un pensiero positivo ha attraversato la mia mente, a quel punto, anche se la pioggia non ha cessato un attimo. Alzando lo sguardo, il Castello era sempre lì, le luci offuscate ancora da un velo di nebbia. Ho provato ancora una volta ad ascoltarlo, come tanti anni fa; giurerei di averlo sentito ripetere che un’altra estate arriverà. Un’altra estate siciliana. Forse felice.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI