Palermo, fa arrestare gli uomini del pizzo e perde i lavori

Fa arrestare gli estorsori e gli tolgono i lavori

Il retroscena raccontato dallo stesso imprenditore
PALERMO-MAFIA
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PALERMO – L’imprenditore ha denunciato il racket. Risultato? Gli sarebbe stata tolta la commessa. La notizia si apprende nel giorno in cui una seconda persona è stata arrestata per un’estorsione subita nel cantiere per la ristrutturazione di una palazzina alla Vucciria .

Le proprietarie il giorno dopo il primo arresto, quando ancora la notizia non era stata pubblicata – ha raccontato l’imprenditore alla Guardia di finanza – “seduta stante mi rappresentavano la loro decisione di rescindere il contratto a causa dei ritardi manifestando nel contempo la loro delusione per non essere state informate immediatamente della vicenda”.

Ed ancora: “Una di loro mi ha detto ‘sono figlia di un barone lì mi conoscono tutti io in piazza ho fatto un’installazione nessuno mi ha chiesto il pizzo tu ce lo dovevi dire che lì non potevi lavorare e noi avremmo concluso il contratto capendo il perché e ci saremmo salutati come amici. Non c’era bisogno di arrivare a questo intendendo la denuncia”.

La vittima ha accettato la rescissione del contratto, ma è amareggiato perché ritiene che tutto sia nato dalla scelta di dire no al pizzo. E ne è convinto anche il giudice per le indagini preliminari Lirio Conti che ha firmato l’arresto di Orazio Di Maria e che scrive: “Non ci si può esimere dal rimarcare che il ritardo nell’esecuzione delle opere addotto a giustificazione della risoluzione del contratto sembra essere il motivo soltanto formale dovendo invece individuarsi la vera ragione proprio nel fatto che l’imprenditore ha denunciato l’estorsione subita”.

In un altro passaggio aggiunge: “A prescindere da ogni considerazione circa il denotare siffatto comportamento l’assenza di un qualsivoglia senso di solidarietà nei confronti della vittima si tratta indubbiamente di condotte inquietante. Le controparti contrattuali della persona offesa si sono assunte il rischio di essere considerate conniventi”.

Nelle sue considerazioni il gip avanza tre ipotesi di lettura del gesto delle committenti: “Disapprovazione per la scelta della persona offesa di denunciare oppure indotta dal semplice desiderio di non essere coinvolti in alcun modo oppure ancora dal timore di ritorsioni”.

In ogni caso, secondo il giudice Conti, ci si trova innanzi a una “lampante riprova della pervasività dell’attività dei sodalizi mafiosi in tutto il tessuto economico del territorio e della conseguente generata turbativa della libera concorrenza”.


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