Cosa nostra, omicidi e potere: Aldo Ercolano è tornato al 41 bis - Live Sicilia

Cosa nostra, omicidi e potere: Aldo Ercolano è tornato al 41 bis

Il nipote di Nitto Santapaola sta affrontando il processo Thor. Il decreto del Ministro è dello scorso dicembre. La difesa ha già presentato reclamo.

CATANIA – È tornato al 41bis. Aldo Ercolano, il boss dal sangue blu  – figlio di Pippo Ercolano (ormai defunto) e di Grazia Santapaola (sorella del capomafia Nitto) – che ha condanne per sedici omicidi, compreso quello del giornalista e scrittore Giuseppe Fava, dallo scorso dicembre è recluso in regime di “carcere duro”. Regime che gli era stato revocato ormai da sei anni. È stato infatti detenuto nella sezione di alta sicurezza di un istituto penitenziario in Sardegna fino a quando non è arrivato il decreto – della validità di due anni –  dell’ormai ex Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

Reclamo della difesa

Il difensore, l’avvocato Fabio Federico, ha già “inoltrato reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Roma – afferma a LiveSicilia – per ottenere la revoca”.

Condannato per 16 omicidi

Ha un curriculum criminale lunghissimo Aldo Ercolano, sposato con Francesca Mangion (figlia del boss Ciuzzu ‘u firraru). La prima volta che il suo nome finisce sui giornali è il 1984, lo stesso anno dell’omicidio di Pippo Fava davanti al teatro Stabile di Catania. Appena 24enne è protagonista di un folle inseguimento con la polizia. È un’epoca di sangue e pistolettate per Catania. Prima del suo arresto definitivo avvenuto a Desenzano del Garda nel bresciano, Ercolano ha ordinato – come raccontano le sentenze e le inchieste Orsa Maggiore e Orione –  decine di “condanne a morte”. “È stato condannato per sedici omicidi”, si legge nell’ultima ordinanza che gli è stata notificata qualche mese fa.

C’è la sua mano nella strage della Monteshell. Il 10 marzo del 1989 l’area di servizio sull’autostrada Palermo-Catania è la tomba di Bernardo Bellaprima, Pietro Bellaprima, Sebastiano Calì e Carmelo Grasso. Il suo ‘sicario’ di fiducia è Maurizio Avola, che poi diventa il suo più grande accusatore. Il killer dagli occhi di ghiaccio, su mandato del nipote di Nitto, è riuscito a infiltrarsi nella super villa protetta dei fratelli Salvatore e Giuseppe Marchese, i parenti del super pentito Antonino Calderone, e a ucciderli nella cucina della loro lussuosa depandance. Sempre su direttive di Ercolano Avola uccide il suo migliore amico, Pinuccio Di Leo. Porta il suo nome anche l’omicidio di Francesco Garilli, strangolato senza pietà. Nel 1992 (il 23 luglio) Lorenzo Marengo e Francesco Celano, del clan Pillera-Cappello, sono trucidati sulle strade di Palagonia. Il nome di Aldo Ercolano si mescola anche a quello di Ernesto Carbonaro assassinato il 26 febbraio 1993.

Il processo Thor

Ma ultimamente sono arrivate nuove accuse. Francesco Squillaci, detto Martiddina, è l’assassino del poliziotto Gianni Lizzio. Qualche anno fa l’ex uomo d’onore ha deciso di collaborare con la giustizia e ha riaperto vecchi cassetti dei ricordi indicando mandanti e sicari di omicidi avvenuti trent’anni fa. Le sue dichiarazioni fanno partire l’inchiesta Thor che ha portato a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti, tra gli altri, di Aldo Ercolano. La Procura di Catania lo accusa degli omicidi di Nicola Cirincione avvenuto a Camporotondo Etneo il 4 ottobre 1990, di Antonio Furnò commesso a Valcorrente il 13 settembre 1990, di Domenico La Rosa, ammazzato il 24 settembre 1992, e di Maurizio Colombrita freddato il 28 gennaio 1991. Sono quattro, dunque, i delitti per cui sta affrontando il processo da cui è trapelata la notizia del ripristino del carcere duro nei confronti del boss.

Fava (Antimafia): “Atto tardivo e dovuto”

Un decreto che è arrivato quasi un anno dopo l’invio della lettera da parte del presidente della Commissione Antimafia all’Ars Claudio Fava al Ministro della Giustizia che definiva un ‘quasi-paradosso’ la revoca del regime del 41bis. “Un atto tardivo e dovuto. Rapporti di polizia e relazioni della Dia confermano da tempo che il ruolo apicale di Aldo Ercolano nella Cosa nostra catanese non era mai venuto meno”, è il commento di Fava.


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