Quei favori chiesti ai boss: Cristo risorge, parte di società affonda - Live Sicilia

Quei favori chiesti ai boss: Cristo risorge, parte di società affonda

Punire gli autori di una rapina, ritrovare un'auto rubata, aprire un negozio: ci pensa Cosa Nostra

PALERMO – Cristo è morto e risorto. Nell’anno del Signore 2021, nel giorno in cui chi ha fede celebra il miracolo della Santa Pasqua, è un’altra risurrezione, quella sociale, che mostra il suo percorso incompleto.

La cronaca dell’ultimo blitz antimafia ci mette di fronte alla dura realtà. Le cose sono cambiate rispetto alla stagione delle bombe e dei morti ammazzati, nessuno può negarlo. Il merito è di chi la mafia l’ha combattuta e la combatte anche a costo della vita.

Cosa Nostra è indebolita come non mai, eppure resiste grazie a una mentalità che seppure non sorprende lascia ugualmente sgomenti.

Ad ogni operazione viene fuori il lato maleodorante di una città dove la mafia conferma il suo ruolo di anti Stato. Nel giorno di Pasqua i carabinieri hanno arrestato Giuseppe Calvaruso, mafioso nel passato (come dimostrano le sentenze definitive) e nel presente. Secondo l’accusa, infatti, era il nuovo reggente del mandamento di Pagliarelli.

Emergono tre storie disarmanti della mafia come alternativa allo Stato. Un imprenditore, Francesco Paolo Bagnasco, i cui negozi “Serena” sono diventati un punto di riferimento nel settore dei detersivi in città, subisce due rapine in cinque giorni. Ha ragione ad essere esasperato. Prende il telefono e chiama qualcuno che, ne è certo, saprà aiutarlo.

Non si rivolge né ai carabinieri, né alla polizia. Quel qualcuno si chiama Giovanni Caruso, braccio destro di Calvaruso. Le milizie malandate di Cosa Nostra si attivano e rintracciano gli autori dei colpi. Il processo è sommario, la punizione esemplare. In tre vengono rapiti, rinchiusi in un garage e pestati a sangue. La risposta di Cosa Nostra è più veloce di quella dello Stato.

Un piccolo commerciante “vuole fare il food con suo figlio”. E cioè aprire un negozio di alimentari nella zona dell’Università degli studi. Ha individuato un magazzino, ma non vuole pestare i piedi “allo zio Settimo che magari gli interessa a lui”. È inutile girarci attorno: gli serve l’autorizzazione del boss Settimo Mineo per aprire e non avere guai.

Una donna scende da casa e non trova più la macchina. Fa la denuncia in commissariato, ma al marito viene in mente di percorrere una strada più veloce e dall’esito positivo garantito. Si rivolge a un commerciante della zona che a sua volta coinvolge il mafioso di quartiere: “Non ti dico niente Giovà (Giovanni Caruso). È una persona che merita se no non sarei venuto io qua”.

Lui sì, Caruso, che risolverà la faccenda, per il semplice fatto che sa perfettamente chi vive rubando le auto. Ed infatti il mezzo, una Lancia Y, viene subito ritrovato. E con la denuncia che si fa? La scena si fa surreale. La donna alza la cornetta e digita il numero: “Salve, io chiamavo perché stamattina mi sono recata al commissariato Oreto per fare la denuncia di un’autovettura che mi era stata rubata ieri pomeriggio, sotto casa. Adesso, praticamente, mio marito è sceso a buttare la spazzatura e c’è la macchina giù”.

Non è un miracolo, ma la metastasi di una patologia grave che colpisce la società. Un giorno, forse neppure troppo lontano, quando la battaglia contro Cosa Nostra sarà vinta ci si accorgerà di avere perso la guerra sociale se è vero, come è vero, che ancora oggi, anno del Signore 20121, c’è chi si rivolge alla mafia e non allo Stato perché è la strada più veloce ed efficace.

Chiede aiuto a quelle stesse persone che offendono la memoria di padre Pino Puglisi – “Mica è un santo, non ha fatto miracoli” – e per le quali la santità delle opere e del martirio del parroco di Brancaccio restano incomprensibili.


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