"Joint venture criminale del petrolio": una sfilza di siciliani coinvolti

“Joint venture criminale del gasolio”: tanti siciliani coinvolti

Maxi inchiesta in tutta Italia. C'è l'ombra dei boss catanesi

Un’alleanza tra clan camorristici, ‘ndrine calabresi e imprenditori per gestire il traffico illegale di prodotti petroliferi di scarsa qualità, comprati all’estero per risparmiare sulle tasse e rivenduti in Italia. Un giro di affari da un miliardo di euro in cui si parlava anche siciliano.

Siciliani, infatti, sono alcuni dei 76 indagati dell’inchiesta “Petrolmafie spa” che ha unito il lavoro di quattro direzioni distrettuali antimafia: Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro, con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia.

Una joint venture criminale per fare soldi, ma anche per ripulire denaro di provenienza illecita che vede coinvolti il clan napoletano Moccia, le ‘ndrine Piromalli, Cataldo, Abate, Pelle e Italiano nel Reggino; i Bonavota di Sant’Onofrio; gli Anello di Filadelfia e i Piscopisani a Catanzaro.

E poi c’è il fronte siciliano che coinvolge una serie di imprenditori, alcuni molto noti nel settore dei carburanti. In Sicilia, infatti, sarebbero avvenuti dei passaggi fondamentali con la regia – si tratta di un capitolo ancora da approfondire – dei clan catanesi Mazzei e Pillera.

Tra gli arrestati ci sono i catanesi Emanuele Aber, Alberto Pietro Agosta, Enrico Agosta, Nicola Amato, Pietro Bonanno, Gioacchino Falsaperla, Sebastiano Foti, Salvino Frazzetto, Sergio Leonardi, Simone Micale, Orazio Romeo, Francesco Ruggeri, e Damiano Sciuto, i palermitani Gabriele La Barbera e Rosario Christian Santoro, i messinesi Giuseppe Terranova e Salvatore Uccchino.

In un altro articolo ci occupiamo della vicenda di un altro siciliano, Antonino Grippaldi.

Il sistema di frode si basava sull’importazione dai paesi dell’Est Europa di miscele e oli lubrificanti di scarsa qualità che venivano poi immessi sul mercato. Venivano spacciati come gasolio per autotrazione per sfruttare la tassazione molto più favorevole.

Dal 2018 al 2019 sono stati movimentati circa sei milioni di litri di gasolio per autotrazione di provenienza illecita. Tra gli importatori ci sarebbe stata anche la Union, una società di Misterbianco riconducile di fato al broker Sergio Leonardi, al cui fianco avrebbero lavorato Gioacchino Falsaperla, Damiano Sciuto e Sebastiano Foti.

Una volta giunto in territorio italiano il gasolio sarebbe passato dai depositi della TirOil di Catania, gestita da Aber e dagli Agosta insieme ad Alessandro e Roberto Tirendi, originari di Milano ma residenti da tempo a Gravina di Catania. Questi ultimi hanno un deposito anche a Santa Venerina.

Il passaggio successivo sarebbe stato quello di simulare la compravendita dei prodotti servendosi di società che gli investigatori definiscono cartiere. Tra queste, finanzieri del Gico e carabinieri del Ros, inseriscono la ditta di Nicola Amato con sede a Biancavilla.

Infine il prodotto veniva ceduto ad altre società fra cui la Servizi Integrati e la Ptp Tecnica di Belpasso, riconducibile a Orazio Romeo e Francesco Ruggeri, al deposito che lo stesso Ruggeri ha a Carlentini e in quello di Prizzi della Mv Olio di Rosario Christian Santoro con sede a Palermo.

Romeo è uno dei più importanti imprenditori del settore, a lui fanno capo una serie di società, tra cui la “Sp Energia Siciliana” e la “Sp Energia Pugliese”. Avrebbe messo a disposizione dell’organizzazione il proprio gruppo, comprando il carburante a prezzo scontato per poi rivenderlo nei distributori di sua proprietà. Una parte nel sistema spettava agli autotrasportatori, come il palermitano La Barbera e il messinese Ucchino.

A Leonardi, Falsaperla, Sciuto e Damiani la frode viene contestata con l’aggravante “di agevolare, con le condotte illecite perpetrate, organizzazioni criminali di stampo mafioso” e cioè le famiglie Mazzei e Pillera.

Al capitolo investigativo sul ruolo della mafia catanese ha contribuito con le sue dichiarazioni Giulio Fabio Rubino che nel 2019 raccontava di avere avviato nel 2014 un’attività di narcotraffico spinto dal fratello Serafino che gli aveva presentato “la signora Maria Rosaria Campagna di Napoli”, compagna del boss catanese Turi Cappello.

Quando la donna fu arrestata, nel 2015, il suo interlocutore sarebbe diventato “il fratello Giuseppe ed il figlio Salvatore Cappello, il cui padre omonimo, facente parte di famiglie mafiose di Catania, era già detenuto al 41 bis”.

Allora venne a sapere che Luigi Mancuso, uno degli uomini del grande affare del gasolio, “stoppò quasi subito la Campagna riferendo che non era il momento giusto” per parlare di droga, visto che “aveva in corso un affare relativo ai carburanti provenienti dall’Est Europa, invitando, qualora interessata, anche la Campagna in tale affare”.

Un altro collaboratore, Salvatore Messina, ha spiegato che già tra il
2009 ed il 2011 “Mario Maugeri, Nuccio Mazzei ed altri del clan Mazzei con la scusa di doverli proteggere cominciarono a fare affari ed entrare in società con il Leonardi in relazione al traffico e contrabbando di gasolio. So per certo che i Mazzei investirono denaro nelle imprese e società del Leonardi. Poi però ciononostante come ho detto già dal 2012 i rapporti si
deteriorarono”.


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