Soffiantino se n'è andato con un soffio

Soffiantino se n’è andato con un soffio

Alla fine prevalse la vita. Una vita condizionata, una vita compromessa, ma pur sempre vita.
GAROFALO ALL'OCCHIELLO
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Soffiantino se n’è andato. In un soffio, con la stessa leggerezza con cui era venuto a trovarci. Un soffio ha contrassegnato il suo destino; un soffio è stata la sua stessa vita, che per un soffio non è arrivata al compimento dei 2 anni. In nomen, omen.

Soffiantino qualcuno forse se lo ricorda; ne parlammo a suo tempo proprio su queste pagine, quando venne a turbare le nostre coscienze mettendole in crisi, fra scelte necessarie e interrogativi senza risposte. Ne parlammo nei termini di una fiaba, per stemperare la carica emotiva che lo ha inevitabilmente accompagnato. Nato nel disagio, già immediatamente dopo il parto si mostrò in tutta la sua fragilità: le braccia inerti e abbandonate, grandi difficoltà per nutrirsi e per respirare, una sopravvivenza compromessa. Fummo noi stessi a soprannominarlo “Soffiantino-mani-di-pezza”, adagiandolo al centro di una fiaba che lo vide protagonista assoluto.

Il giorno in cui lo conobbi era davvero messo male. Mamma e papà non poterono mai prendersene carico, immersi in un degrado troppo invadente per le loro stesse vite, da non lasciare spazio a nessun’altra presenza. Le sue braccia non potevano abbracciare, ma richiedevano con forza di essere abbracciate; i suoi occhi erano straordinariamente belli, di una bellezza davvero inusuale, di una bellezza sfolgorante e angelica.

Lo conobbi che era già di qualche mese, in un gelido Natale che me lo presentò nei freddi termini di un caso clinico. E come tale lo affrontai all’inizio, prima ancora che mi accorgessi su cosa davvero mi stesse interrogando. Mi fu presentato insieme a disperazione e a scoramento: “ha il destino segnato, un destino inesorabile. Provvedi tu, provvedete voi.”

Quando lo vidi la seconda volta era in rianimazione pediatrica, finito lì “per competenze”. Ma attorno a lui trovai altre figure ad accudirlo, dagli abiti professionali e dal cuore degli angeli. Angeli al capezzale di un angelo; gli angeli si riconoscono fra di loro, questo capii.

E tutti ricordiamo il dilemma drammatico. Se respira così male, non potrà esserci spazio che per un intervento invasivo: un tubo in trachea e una ventilazione assistita meccanicamente; solo così potrà continuare a soffiare e a vivere ancora. Senza altre alternative, se non quella di un compassionevole accompagnamento alla fine, in tempi molto rapidi. E tutti si era in una nave che ondeggiava pericolosamente nel pieno di una tempesta.

Nella fiaba che raccontammo, il Comitato Etico, appositamente interpellato, fu chiamato il “Gran Consiglio dei Dotti Dottori”, giusto per nascondere con un appellativo altisonante l’effettiva condizione di disagio nel compiere una scelta dura. Ma un Comitato Etico non è un tribunale dell’inquisizione; piuttosto, è una motovedetta, dotata di un equipaggio addestrato a riconoscere la costa, un approdo sicuro e la strada giusta per raggiungerlo. Senza imposizioni, senza determinazioni vessatorie; con consiglio, con prudenza.

E lì, da un lato, c’era il comando della nave in un mare in tempesta; dall’altro una motovedetta amica, a suggerire una strada impervia. Al centro Soffiantino, braccia alla ricerca di braccia; occhi che chiedevano occhi da catturare con un’innata, dolcissima violenza seduttiva. In una scelta dibattuta, sofferta, meditata, ma che non poté soffocare un ultimo trasporto istintivo, alla fine prevalse la vita. Una vita condizionata, una vita compromessa, ma pur sempre vita. Forse non si riuscì a fare a meno di quegli occhi sempre sorridenti, a quel modo strano di reclamare aiuto, a quella richiesta di accudimento che non chiedeva altro che tutto.

Soffiantino rimase in reparto per molto tempo ancora, tra camici e fonendo dall’inconsueto odore materno, rispondendo alle carezze e alle coccole con lo stesso unico linguaggio degli occhi e dei sorrisi.

Poi, un giorno, partì per una destinazione lontana, in una nuova casa dove si programmava la sua improbabile riabilitazione. E fu un saluto commosso, sul predellino di un treno volante, rispondendo senza braccia ad altre braccia che sventolavano fazzoletti bagnati da lacrime sincere. In ogni arrivederci si teme un addio nascosto.

E quando l’altra sera ci fu detto di un altro viaggio, ultimo, senza l’ombra di un ritorno, degli angeli piansero, unendosi all’ultimo sorriso di Soffiantino, che riconobbero anche a distanza di mille e mille chilometri.

Perché gli angeli si riconoscono sempre, fra di loro.

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