Pupari, trame, pressioni politiche: la sanità secondo Damiani

Pupari, trame di palazzo, pressioni politiche: la sanità di Damiani

L'ex manager racconta la sua verità al giudice Clelia Maltese

PALERMO – Pressioni per l’assegnazione delle gare, trame di palazzo per le nomine dei manager, spartizioni politiche degli incarichi. Fabio Damiani racconta la sua verità al giudice Clelia Maltese che lo sta processando, assieme ad altri imputati, con l’accusa di essere l’uomo chiave del sistema di tangenti che regolava l’assegnazione di appalti milionari.

Ed ancora una volta ci sono tante cose appena accennate nel resoconto del suo interrogatorio del 22 marzo scorso da cui emerge che il lavoro dei pubblici ministeri di Palermo va avanti.

Damiani ammette di avere ricevuto soldi da Salvatore Manganaro, l’imprenditore agrigentino arrestato assieme a lui, ma esclude che servissero per compiere atti contrari al dovere di ufficio e cioè per pilotare gli appalti. Erano soldi che riceveva in amicizia perché, a suo dire, l’esito delle gare non è stato modificato.

Anzi l’ex manager dell’Asp di Trapani e responsabile della Centrale unica di committenza della Regione siciliana dice di avere resistito a forti pressioni da personaggi finora rimasti fuori dall’inchiesta.

Non va oltre perché sono atti ancora coperti dal segreto istruttorio, ma il passaggio è piuttosto chiaro: Al momento in cui è stata bandita la gara diciamo, come ho anche riferito, si sono verificati tutta una serie di fatti che poi si erano già verificati nel momento in cui avevo bandito la gara all’Asp di Palermo (parla di un appalto milionario per la manutenzione delle apparecchiature medicali) di vari interessi di soggetti terzi su questa gara, cioè dei veri e propri tentativi di turbativa su questa gara da varie persone, da vari gruppi facenti capo a delle persone ben determinate,”.

E non era neppure la prima volta perché “questa è una situazione che spesso io incontravo quando bandivo una gara d’appalto di questo tipo, cioè tutto l’ambiente circostante sia l’ambiente politico ma anche l’ambiente commerciale cioè degli operatori economici si muovevano molto attivamente per arrivare ad avere favori e quindi privilegi nell’andamento della gara”.

E si intuisce che ai pm Sergio Demontis, Giovanni Antoci e Giacomo Brandini ha fatto nomi e cognomi visto che è lo stesso giudice ad un certo punto a stopparne il racconto. E sono anche i difensori degli altri imputati a fare notare che si sta divagando dalle contestazioni oggetto del processo.

Damiani precisa che “una volta sono accadute realmente delle cose molto molto gravi, molto spiacevoli appunto di cui già il senso l’ho accennato, cioè io sono stato oggetto di interesse di numerosi gruppi di potere, di numerose persone che hanno certamente creato turbamento, creato problemi, io ho vissuto veramente momenti molto drammatici diciamo nella gestione di questa gara”.

Dice di sapere “che uno dei componenti della commissione di gara era avvicinato da persone che avevano avvicinato me, e quindi c’è stata una persona, un soggetto che aveva una forte influenza, un forte potere in quel momento che mi perseguitava”.

Ribadisce che il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché non lo aiutò, su indicazione del fratello Guglielmo, a sua volta sollecitato da Ivan Turola, per la nomina nel 2018 alla guida dell’Asp di Trapani. Ci fu incontro con Turola e Guglielmo Miccichè ma era ininfluente: “… sono andato a quell’incontro perché non volevo che Manganaro sospettasse che io avevo dei miei canali per potere arrivare alla carica di direttore generale, e questo perché? Perché Manganaro non voleva che io andassi via né dall’Asp di Palermo e manco dalla Cuc… era tutta una messa in scena, tutta una millanteria, per quello poi che si evince e che è accaduto all’incontro, perché io avevo già le mie certezze e le mie sicurezze”.

Sicurezze che derivavano dal fatto che “al momento di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie era notorio qual era la spartizione per partito politico e per esponente politico, Forza Italia aveva l’Asp di Palermo e qualche altra azienda, io sapevo che per l’Asp di Palermo la candidata era la dottoressa Faraoni (Daniela Faraoni, attuale manager), cosa che poi è avvenuta dopo, peraltro io parlai anche con l’onorevole Giuseppe Milazzo che mi confermò questa circostanza”.

A Damini fu proposta la piazza di Trapani perché “la carica a Palermo era notoriamente coperta ed era coperta da Forza Italia perché la dottoressa Faraoni era una candidata di ferro dell’onorevole Milazzo e
dell’onorevole Micciché”.

E su Trapani Damiani avrebbe contato sull’appoggio dell’assessore regionale Domenico Turano. A differenza di quanto diceva Manganaro – “Turano è il pupo e Miccichè è il puparo” – l’assessore “non era affatto il pupo, era colui che decideva sulla provincia di Trapani”.

In realtà all’inizio Turano era diffidente perché “l’assessore alla Salute gli parlava male di me, e quindi Turano era sospettoso, cioè nel senso e quindi chiedeva rassicurazioni ai miei, al mio amico – che poi era Tozzo (Ignazio Tozzo) – sulla mia persona e diciamo ne sono passati di incontri perché lui si tranquillizzasse da questo punto di vista, poi ho scoperto, ho scoperto chi parlava di me a Razza era Candela )Antonio candela. pire lui sotto processo) che gli diceva cose contro di me tant’è che poi questo poi me lo confidò lo stesso Razza in un incontro successivo”.

Accadeva che “Turano andava a parlare con l’assessore Razza di Damiani e Razza diceva ‘ma sei sicuro di Damiani?’ perché Candela era commissario straordinario in carica all’ASP di Palermo, aveva diciamo dei fitti rapporti con l’assessore alla salute e gli parlava male di me, quindi Razza cercava di mettere in guardia Turano sulla mia persona”.

Alla fine Damiani fu nominato e Candela, sicuro di essere scelto per l’Asp di a Catania, restò fuori dalle nomine. Era meglio un catanese piuttosto che il palermitano Candela a cui un anno e mezzo dopo Nello Musumeci avrebbe affidato la cabina di regia regionale per contrastare il Covid. Il blitz dei finanzieri azzerò tutto.


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