Il racconto choc: “Per salvarmi ho finto di essere morto” - Live Sicilia

Il racconto choc: “Per salvarmi ho finto di essere morto”

La testimonianza di Concetto Alessio Bertucci, uno dei feriti della sparatoria dello scorso agosto a Catania.
INCHIESTA CENTAURI
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CATANIA – Ha sentito la morte alitare sul suo viso. Ha sentito il corpo di Luciano D’Alessandro diventare freddo sotto le sue mani. Il racconto di Concetto Alessio Bertucci, ferito nello scontro armato tra Cursoti Milanesi e Cappello, è forse uno dei più inquietanti che si trovano nelle 66 pagine dell’ordinanza firmata dalla gip Marina Rizza. Il collaboratore di Gaetano Nobile, dopo una serie di ripensamenti, ha deciso di vuotare il sacco agli investigatori. E così la sua testimonianza è diventata uno dei punti focali di riscontro dell’inchiesta Centauri, condotta dai carabinieri e coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Alessandro Sorrentino. Bertucci ha assistito al pestaggio – per mano del boss dei Cursoti Milanesi, Carmelo Di Stefano – da cui è partito tutto. Gaetano Nobile è stato colpito con il casco in via Diaz, vicino al bar e al mini market che gestiva e dove lavorava il testimone. Da lì si è scatenata la serie di eventi che ha portato Bertucci, insieme alla carovana di moto capitanata dai boss Massimiliano Cappello e Salvuccio jr Lombardo, a Librino. Nella roccaforte dei fratelli Sanfilippo, narcotrafficanti dei Cursoti Milanesi. 

Bertucci era nella stessa moto di D’Alessandro, una delle vittime della sparatoria dello scorso 8 agosto. “Non appena il gruppo dei motorini ha imboccato la salita del Grimaldi 18, visto che la strada è abbastanza stretta, abbiamo cominciato a procedere in fila indiana, uno dietro l’altro. Io e D’Alessandro – ricorda – viaggiavamo a bordo del motorino che era l’ultimo della fila. Ci precedeva Rinaldo Puglisi insieme ad un’altra persona. Anche questi ultimi viaggiavano a bordo di un Sh che è di proprietà di mio padre. Appena giunti all’altezza del punto indicato – spiega guardando una mappa che gli mostrano i carabinieri –  lo scooter guidato da D’Alessandro ha arrestato la marcia perché impossibilitato a proseguire in quanto proprio davanti a noi c’era il mio motorino, abbandonato a terra, da Rinaldo Puglisi”. In quell’istante Bertucci ha guardato in faccia l’inferno. “In quello stesso momento ho visto arrivare un’autovettura di cui non ricordo il modello, ma ricordo essere di colore azzurrino, a bordo della quale vi era un soggetto che si trovava alla guida e contemporaneamente sparava”. Il killer che, secondo Bertucci sarebbe Martino Sanfilippo, diventato collaboratore di giustizia, ha sparato con freddezza. “L’autovettura si è fermata accanto a noi, il guidatore è sceso e ha esploso al nostro indirizzo  diversi colpi di arma da fuoco. Siamo rimasti colpiti entrambi – evoca – e siamo caduti quasi nello stesso momento”. 

Bertucci è vivo per miracolo. È riuscito a far credere ai Cursoti Milanesi che fosse morto insieme al suo amico Luciano. “Io mi sono accasciato addosso al corpo di D’Alessandro, fingendomi morto. Ricordo che il soggetto che ha sparato si è avvicinato a noi e parlando qualcuno ha detto: “Sono morti tutti due, ce ne possiamo andare”. Io avevo gli occhi chiusi ma ho sentito che il killer tornava a bordo della macchina e si allontanava uscendo dal Grimaldi 18. Dopo un paio di minuti continuando ad avere gli occhi chiusi – ricorda ancora – ho avvertito il rumore di un’altra autovettura che si allontanava dal Grimaldi 18 nella medesima direzione”. 

Bertucci è rimasto immobile fino a quando non ha sentito il rumore delle sirene delle ambulanze. “Appena sono arrivati i soccorsi ho aperto gli occhi”. Una pallottola lo ha colpito al basso ventre. 


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