L'agguato a Monte Po, le indagini: caccia 'aperta' al sicario - Live Sicilia

L’agguato a Monte Po, le indagini: caccia ‘aperta’ al sicario

Ecco tutte le piste aperte. La Squadra Mobile non tralascia nulla: dalla parentela con il boss alle ultime frequentazioni.

CATANIA – Sicuramente non basta essere stati notati in un luogo di osservazione investigativa, finendo in un’annotazione di servizio delle forze di polizia, a “certificare” la contiguità di una persona ad un determinato clan mafioso. È un elemento che va valutato. Pesato. Ponderato. Ma non può essere sufficiente a inserire Biagio Di Grazia, colpito da una pallottola al collo lo scorso 7 aprile, nell’orbita del clan Cappello. 

Quel brogliaccio del blitz Gorgòni, della Dia, che indica la vittima arrivare – una sola volta nel 2016 – nel garage al viale Rapisardi dove solitamente i gemelli Fabio e Luca Santoro si intrattenevano con il boss Massimiliano Salvo, ‘u carruzzeri a ‘discutere di affari’, potrebbe diventare una goccia nei litri di carburante inseriti nella macchina investigativa per far luce sull’agguato a Monte Po. Anche se il movente maturato nell’ambiente della criminalità organizzata perde di giorno in giorno mordente. Ed è la pista delle relazioni personali quella che potrebbe dare un volto al sicario che voleva uccidere Biagio Di Grazia.

Se davvero di clan Cappello si dovesse parlare in questa inchiesta, la logica porta ad un altro tipo di scenario. E cioè quello di una migrazione, o meglio alleanza, del gruppo mafioso di Monte Po riferibile ai fratelli Strano dalla famiglia Santapaola-Ercolano a quella dei Cappello-Bonaccorsi. E quindi Biagio Di Grazia, indicato nelle carte dell’inchiesta Plutone (vecchia di quasi vent’anni) come inserito tra le file di Cosa nostra catanese, potrebbe avrebbe seguito quella ‘rotta mafiosa’. Ma ci muoviamo sempre nel campo delle congetture. 

C’è un fatto invece che è incontrovertibile. La sua parentela con un personaggio che a Monte Po – e in generale nella mafia catanese – aveva un peso criminale notevole negli anni 80 e 90. Francesco Di Grazia, Franco u sfasciu, che è il cugino della vittima, è stato tra i vertici (e killer) di Monte Po insieme a Turi Pappalardo (ucciso) e Natale Di Raimondo (transitato anni or sono tra i collaboratori di giustizia). E poteva vantare contatti diretti con Aurelio Quattroluni, l’uomo d’onore ‘invisibile’ che per un periodo avrebbe diretto le redini di Cosa nostra catanese. Questa ‘parentela’ e i suoi trascorsi giudiziari hanno fatto sì però che l’inchiesta venisse affidata a un pm della Dda etnea. 

Resta da capire chi ha sparato – con l’intenzione di uccidere – contro il cugino di un boss del ‘peso storico’ come Francesco Di Grazia. Le indagini della Squadra Mobile di Catania sul tentato omicidio non si sono mai fermate dalla sera del 7 aprile. Un pezzo del mosaico potrebbe anche arrivare dalle parole dello stesso Biagio Di Grazia non appena sarà in grado di reggere un interrogatorio. 

I bossoli di piccolo calibro ritrovati sotto il cavalcavia in via Gaetano Di Giovanni sono nei laboratori della polizia scientifica e potrebbero fornire ‘la strada’ per identificare il sicario. Ma il quadro che man mano si sta dipanando dalle indagini non pare certamente avere i contorni di un regolamento di conti.


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