Musumeci e l'odissea del Ponte sullo Stretto

Nello Musumeci e l’odissea del Ponte sullo Stretto

Una sorsata di Ponte sullo Stretto per dimenticare i dispiaceri del presente.

Tutte le strade, tutti i mari e tutti i ponti portano a Sciascia: “Condizione geografica e vicissitudini storiche hanno fatto sì, insomma, che le difficoltà di vita degli isolani diventassero diversità e che tali diversità venissero ingigantite e generalizzate – e di fatto oggettivamente accresciute – dagli ‘altri’ fino a diventare negativo pregiudizio (…) I siciliani diffidano; ma del mare che ha portato alle loro spiagge i cavalieri berberi e normanni, i militi lombardi, gli esosi baroni di Carlo D’Angiò, gli avventurieri che venivano dalla ‘avara povertà’ di Catalogna, l’armata di Carlo V e quella di Luigi XIV, i piemontesi, gli austriaci, i garibaldini, ancora i piemontesi….”.

Appena spigolando, senza pretese interpretative, nel grande mare letterario di quel grandissimo, si coglie, in queste e in altre pagine, il destino dell’insularità. Ed è forse per questo che la sorte continua a vedere con sfavore il Ponte sullo Stretto. Se un’Isola è tale per entelechia, altro concetto che Sciascia riprende in quel libro da cui è tratta la citazione, cioè per la causalità che la determina e l’accompagna nello sviluppo della sua natura, come potrebbe esserci spazio per qualcosa che la unisce alla terraferma? Una semplice eco letteraria che accarezza il dibattito senza prendervi parte in alcun modo, né colorarsi delle differenti opinioni che si possono avere.

Ma c’è, oltre la letteratura, una dimensione politica del Ponte che permette di dare un’occhiata altrove, se le cose che abbiamo sotto lo sguardo non vanno a meraviglia. “Se lo chiamiamo Ponte sullo Stretto è considerato un figlio di putt…, allora, da oggi, lo chiamiamo Ulisse. Quello di Draghi non è un governo politico, ma di emergenza. Calabria e Sicilia rivendicano il diritto di sapere che cosa si voglia fare di Ulisse. Basta con la legge del rinvio. Ci dicano se per loro la Sicilia e la Calabria sono ancora continente europeo. Non ci offendiamo, ma abbiamo il diritto di sapere”. Nelle parole del presidente Musumeci, da qualche tempo su un registro dialettico un po’ scapigliato, si coglie senz’altro una esigenza legittima: una preoccupazione legata alle infrastrutture a al domani: non c’è soltanto il presente della pandemia, ci saranno macerie su cui ricostruire. Soprattutto, perché i soldi (tanti) in catalogo dovranno essere utilizzati senza distinzioni, evitando che la Sicilia sia involontaria protagonista dell’ultima occasione perduta.

Così, è normalissimo che un governatore del Sud ponga problemi. Tuttavia sorge anche, non il sospetto, l’inclinazione a pensare, che il Ponte sia sempre una carta buona da giocare in giorni tempestosi, perché, appunto, il dibattito che c’è intorno ha una funzione di richiamo che permette di distogliere lo sguardo dal paesaggio che angustia e che può mettere in crisi legittime aspettative di consenso.

E ce n’è di che patire, dal Covid, alla conseguente catastrofe sanitaria ed economica, con la vaccinazione che va a rilento, con gli spifferi del centrodestra che, certo, al presidente non faranno piacere. Ecco perché una sorsata di Ponte sullo Stretto – in un panorama arido, in cui tutti danno ai politici ogni colpa, perfino quelle che, incredibilmente non hanno – corrobora, tonifica e offre lo spunto per cavalcare un argomento di sicuro effetto retorico.

Niente di speciale, sprazzi di quotidiano pragmatismo politico. E poi il nome suona suggestivo: Ulisse, il protagonista dell’Odissea, che dice a Polifemo di chiamarsi Nessuno, se ben ricordiamo le lezioni del liceo. Ecco, scaramanticamente, ripensandoci…


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