Da Fiat a Blutec, la lunga scia di bluff e il fallimento della politica - Live Sicilia

Da Fiat a Blutec, la lunga scia di bluff e il fallimento della politica

Dieci anni di cassa integrazione, annunci e promesse mai mantenute dietro il rilancio dello stabilimento di Termini Imerese che non riesce a ripartire
PALERMO
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PALERMO – Seicentotrentacinque. Se per molti è solo un numero, a Termini Imerese, cittadina popolosa in provincia di Palermo che per 40 anni ha condiviso con Melfi e Pomigliano la produzione al sud di auto a marchio Fiat, 635 vuol dire il numero dei dipendenti che da un decennio attendono un rilancio del sito industriale che non è mai arrivato. Seicentotrentacinque persone che da dieci anni vivono di ammortizzatori sociali, dieci anni scanditi da tavoli tecnici, manifestazioni (l’ultima davanti alla Presidenza della Regione), sit-in e una sfilza di annunci di piani di rilancio e riconversione industriale che, però, non sono mai avvenute. La storia dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese icona del fallimento: imprenditoriale della politica.

L’ultima maglia indossata dai 635 lavoratori tenuti sulla graticola da imprenditori avventurieri e da una politica incapace di trovare una soluzione è quella di Blutec, azienda del gruppo Metec del piemontese Roberto Ginatta che due anni fa è finito sotto inchiesta per malversazione e bancarotta fraudolenta. L’industriale vicino alla famiglia Agnelli è accusato di non aver speso per la destinazione per la quale erano stati concessi i milioni di euro di finanziamento Invitalia che sarebbero dovuti servire per il rilancio dell’ex Fiat di Termini Imerese passata sotto il marchio Blutec.

Da lì in poi per i dipendenti è iniziata una nuova sequela di tavoli comunali, regionali, prefettizi e ministeriali con un unico denominatore comune: il fallimento di qualsiasi progetto o iniziativa diversa dalla proroga degli ammortizzatori sociali concessi sin qui per un decennio, un tempo così lungo che si candida a battere qualsiasi record mondiale di intervento pubblico.

In 10 anni si sono iscritti al libro dei sogni di Termini Imerese, prima di sparire nel nulla, una sequela di “imprenditori” come il finanziare Michele Cimino che avrebbe voluto produrre a Termini veicoli elettrici, il gruppo di Corrado Ciccolella per trasformare la catena di montaggio dell’ex stabilimento Fiat in serre per la coltivazione di fiori; e ancora, Gian Mario Rossignolo che voleva produrre a Termini Suv con il marchio De Tomaso per finire a Massimo Di Risio, patron della Dr Motors, che a fine 2011 si aggiudicò il bando di Invitalia per poi alzare bandiera bianca per mancanza di capitali dopo appena sei mesi, a giugno 2012.

Un fallimento dopo l’altro, una serie infinita che non si interruppe neanche con la Grifa, azienda condotta da alcuni ex manager Fiat che nel 2014 si fece avanti per un’operazione di rilancio del sito industriale siciliano che avrebbe dovuto essere finanziata con fondi brasiliani. Mai arrivati, ovviamente. E così, mentre lo stabilimento ex Fiat di Termini i cancelli rimanevano chiusi, il problema dell’occupazione veniva tamponato con proroghe della cassa integrazione e Grifa a fine 2014 sparì nel nulla.

Ed è a questo punto della storia che sembra cominciarne un’altra, quella di Blutec dell’mprenditore Roberto Ginatta, vicino alla famiglia Agnelli. Il piano di Ginatta era produrre componenti per auto ibride ed elettriche. L’accordo con Invitalia fu firmato in tempi record. Il progetto partì con la ristrutturazione dello stabilimento e il 2 maggio 2016 entrarono al lavoro i primi 20 operai, a regime sarebbero stati circa 700. Invitalia aveva approvato il piano ed erogato i primi 20 milioni di finanziamento. Da allora la produzione e il rilancio di Termini si incepparono, fino al ritiro del finanziamento di Invitalia che ha richiesto indietro i soldi e all’arresto dei vertici Blutec per malversazione e bancarotta fraudolenta. La nomina dell’amministrazione giudiziaria prima, e dei tre commissari nominati dal governo Conte successivamente, non hanno al momento sbloccato una vertenza che tiene a tutt’oggi 635 lavoratori e le loro famiglie col fiato sospeso.


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