Il prete, l'avvocato, i ristoratori: la Palermo degli omicidi irrisolti

Il prete, l’avvocato, i ristoratori: la Palermo degli omicidi irrisolti

Assassini senza volto. Ci sono uomini e donne che vivono in un limbo di dolore eterno
DELITTI SENZA CASTIGO
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PALERMO – Il caso degli imprenditori Antonio e Stefano Maiorana, allo stato, resta uno dei tanti misteri irrisolti di Palermo, una città che inghiotte i suoi figli.

Gente scomparsa nel nulla, di cui si finisce per perdere la memoria. Di certo non per i parenti che vivono in una eterna dimensione di dolore.

A Palermo ci sono persone che se ne vanno in giro con la (quasi) certezza che il loro lato oscuro di assassini con cui convivono da anni non sarà svelato. Non ci sono colpevoli per l’omicidio di Daniele Discrede, ucciso al culmine di una rapina il 24 maggio 2014, davanti al deposito di bibite che gestiva in via Roccazzo.

Non si conosce il volto di uccise una prostituta, massacrandola a coltellate, nei viali della Favorita in un giorno di agosto del 2002. Si chiamava Agostina Guarneri. Del suo assassino si sa soltanto che aveva i capelli biondi. Alcuni furono trovati sotto le unghie della vittima. Troppo poco per rintracciarlo. Solo l’assassino sa perché infierì sul corpo della donna e perché lasciò due banconote sul cadavere prima di andare via.

Due anni prima quindici colpi di roncola inferti con una violenza inaudita uccisero l’avvocato Antonio Cipolla. Il luogo dell’orrore non era un parco abbandonato, ma uno studio nella centralissima via Libertà. Sangue ovunque. L’omicida dovette ripulirsi prima di uscire dallo studio e confondersi fra la gente.

Il 16 dicembre 1986, nell’androne di un palazzo in via Petrarca, fu ritrovato il corpo senza vita del medico coreano Ung Park Chun. Era specializzato in agopuntura. Anche lui fu assassinato a copi di pistola. Stessa sorte toccata nel 1990 a Pietro Rosselli, che tutti chiamavano Pedro, il titolare del ristorante “Il fico d’India”, ucciso nel suo locale di via Emerico Amari.

Pochi mesi dopo e pochi isolati più in là, nel 1991, ammazzarono Abdel Aziz Ezzine, pure lui ristoratore. Era il titolare del locale tunisino “Al Duar”, assassinato mentre saliva in ascensore nella sua abitazione di via ammiraglio Gravina.

Nel 2006 il cadavere del diacono Giuseppe Pipitone fu trovato in un luogo maleodorante lungo le sponde del fiume Oreto. Gli staccarono addirittura un lobo a morsi.

Un anno prima, Giuseppe Antonio Crispino, direttore delle poste di Giardinello, durante la pausa pranzo aprì l’agenzia per fare entrare un uomo che conosceva, il quale prima lo colpì con tre coltellate e poi gli strinse al collo una fascetta di quelle che si usano per i cavi elettrici.

Il 30 aprile 2012 qualcuno infierì sul corpo di Antonietta Giarrusso nel retrobottega del suo laboratorio di parrucche in via Dante.

Nei laboratori scientifici degli investigatori sono custoditi i profili genetici degli assassini, estrapolati anche dal più piccolo dei reperti. Stanno lì a ricordare che esistono identità mai svelate e ferite aperte. Se c’è di mezzo la mafia si può sempre sperare nelle dichiarazioni di un pentito per riaprire il caso.

A volte le storie di mafia si intrecciano con la vita e la morte di chi aveva forse era troppo piccolo per capire il pericolo e starne alla larga. Come potrebbe essere accaduto a Salvatore Colletta, 15 anni, e all’amico Mariano Farina, che di anni ne aveva appena 12, spariti nel nulla il 31 marzo 1992 a Casteldaccia.

Misteri irrisolti, storie di un limbo di dolore sine die che non vanno dimenticate. Parlarne, scriverne può servire ad evitare l’oblio nella speranza che un giorno si conosca la verità.


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