"Mia madre in terapia intensiva e non posso vederla"

“Mia madre in terapia intensiva e non posso vederla”

Il racconto di Adalgisa Sclafani: "In terapia intensiva da tredici giorni".

PALERMO- La voce di Adalgisa Sclafani, in una telefonata piena di sentimenti profondi, racconta una storia difficile, comune a tanti. La vicenda di una separazione necessaria ma non per questo meno pesante. Una porta in mezzo. Da una parte una persona anziana e fragile, in ospedale. Dall’altra una figlia con il cuore a pezzi che non può vedere sua madre.

“Mamma – dice Adalgisa – è stata ricoverata tredici giorni fa in terapia intensiva per un infarto e poi è stata scoperta una brutta polmonite, ma è negativa al Covid. Da tredici giorni non posso vederla. Premetto che il personale del Policlinico di Palermo è semplicemente meraviglioso. Ho incontrato persone gentili che danno sempre tutte le informazioni, molto solerti nella cura e nell’assistenza. Sono le regole imposte dalla pandemia, lo capisco. Ma è terribile. Mia madre ha ottantacinque anni. Non posso nemmeno sbirciarla da un vetro. Per fortuna lei sa utilizzare lo smartphone, ma il contatto diretto è un’altra cosa. Stiamo attraversando un incubo e non riusciamo a svegliarci”.

E’ un aspetto che non può essere sottovalutato, nemmeno in un tempo pandemico. Chi è stato ricoverato in ospedale sa con quanto dolce apprensione si attende l’arrivo di qualcuno che abbia un volto familiare. In quell’universo separato e bianco di monitor pigolanti, strumenti dalla forma strana e letti in fila, l’irruzione di qualcuno che ami è una terapia nella terapia. “Nessuno di noi – dice Adalgisa – affronta la situazione a cuor leggero e la cautela è comprensibile. Io non sto protestando. Ma non sarebbe possibile organizzare delle brevi visite con un tampone negativo e con le protezioni necessarie, vestiti come medici e infermieri? Altrove si sta facendo. Noi ci mandiamo delle chat e dei whatsapp”. Come si vede dalla foto che abbiamo ritagliato per privacy e che narra, meglio di tutto, la mancanza del contatto.

Pino Apprendi ha affrontato la questione, scrivendo su Facebook: “Da 15 giorni la figlia e la nipote di una nonnina di 84 anni ricoverata in cardiologia, al Policlinico, stazionano fuori, per oltre 12 ore al giorno, per farle ‘sentire’ che non l’hanno abbandonata, ogni tanto le fanno arrivare qualcosa con qualcuno del personale e lei si tira su. È giusto che si seguano le indicazioni anti Covid, per evitare contagi, ma bisogna pensare al futuro, visto che dovremo convivere con il virus. Bisogna pensare a forme di contatto visivo per non fare subentrare ‘la sindrome dell’abbandono’ nel malato. Troppe persone ci hanno lasciato senza avere avuto un ultimo sguardo, un ultimo saluto”. Lo stesso Apprendi ha contattato il ministro Speranza e il presidente Musumeci. Ed è un punto sacrosanto. In mezzo alle rivendicazioni di tutti, come lasciare indietro chi cerca una mano che stringa la sua, nell’ora più buia?


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