"Viviamo con prudenza, il Covid non è ancora finito"

“Viviamo con prudenza, il Covid non è ancora finito”

Parla il primario del reparto in trincea: la guerra del Covid non è stata ancora vinta.
TRA LIBERTA' E CAUTELA
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PALERMO- Durante la telefonata con la dottoressa Tiziana Maniscalchi, che svolge le funzioni del primario al pronto soccorso Covid dell’ospedale ‘Cervello’, in trincea con la sua squadra dall’inizio della pandemia, l’occhio cade sul monitor con le cifre del traffico ospedaliero. Nell’area d’emergenza, ci sono otto pazienti. Nei giorni più difficili erano almeno trenta, con punte di cinquanta. Un bel segnale.

“Le cose vanno molto meglio – dice la dottoressa -, però, attenzione, non è finita. Ci sono i posti letto a disposizione, ecco perché gli ingressi scorrono. Ma, fino a ieri, abbiamo avuto trentuno accessi e undici ricoveri, con persone in gravissime condizioni. Certo, non ci sono più i trentasette ricoveri di una volta”. L’estate, la zona gialla, la voglia di mare e di vacanze, con la necessità di riprendere per i capelli l’economia: tutto riverbera una necessaria voglia di ritorno alla vita. “Da maneggiare con prudenza – insiste la dottoressa Maniscalchi -, perché la guerra, ripeto, non è finita. La vinceremo quando saremo quasi tutti vaccinati e, se non l’immunità di gregge, raggiungeremo una buona porzione di protetti”.

Una cautela che nasce dall’esperienza. Le vittime e il dolore, invisibili ai più nella lontananza che le misure anti-Covid hanno prodotto, sono stati vissuti da chi lavora in un ospedale. Il primario sul campo conferma: “Sì, abbiamo trascorso attimi pesanti. E adesso è chiaro un particolare importante: con il virus bisogna agire subito, senza perdere tempo. Al primo crollo significativo della saturazione si deve intervenire. Sono sempre arrabbiata, come le dicevo, perché continuano ad arrivare persone gravi e non vaccinate. Stiamo tentando il tutto per tutto con un settantenne che ha una polmonite molto seria e che rientrava nelle categorie, come praticamente quasi tutti. E poi basta con le discriminazioni vaccinali. Quando sarà il turno del terzo richiamo, se possibile, mi vaccinerò con Janssen che ha lo stesso principio di AstraZeneca. Mi scusi se reitero il concetto: abbracciamo la vita ma attenti, perché, no, non è finita”.

Non è un accanimento dialettico, solo lo stato d’animo disponibile nel corso di una stagione tragica che i cronisti hanno, fin qui, raccontato e i camici bianchi hanno sofferto, all’apice di una nuova catastrofe, con modalità che non ci appartengono, con un paradossale discorso sul limite che ci ha trovato impreparati. Le mascherine, il gel, la compressione degli spazi. E le notizie dal fronte. E, per tanti, lo strazio di dovere dare l’addio a qualcuno, senza nemmeno potersi stringere le mani. Anche la morte lontana, abbiamo raccontato. La morte deragliata rispetto perfino ai suoi stessi riti di mestizia. Dice la dottoressa Manisalchi: “Sperimentiamo la rabbia e il dolore di contare le vittime”.

Ma ci sono spiragli e sentieri che, finalmente, portano verso l’alto. “Sono stata in Fiera a occuparmi di vaccini – è il sipario narrativo che chiude la cronaca – ed ero contentissima. Pensavo: ogni persona che viene si salva, è uno in più. Sono importantissimi i medici curanti che hanno l’archivio dei loro pazienti. Saranno loro a imprimere una grande svolta”. Così, si procede, verso l’alba, tra colori che tendono al sereno e il rumore di una battaglia che continua.


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