"Il Supremo, ascesa e caduta di un comandante del male" - Live Sicilia

“Il Supremo, ascesa e caduta di un comandante del male”

La storia criminale di Pasquale Condello, boss calabrese, si intreccia con la mafia palermitana
IL LIBRO
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Questa è la storia di una lunga guerra, che affonda le radici nell’antica leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, approda sulle coste del Sud per tramutarsi in mito fondativo, bagna di sangue una regione e si impone nelle odierne connection criminali tra gli hub e le metropoli d’Italia, d’Europa, del mondo.

Il libro “Il Supremo”, scritto dal cronista del Corriere della Sera Andrea Galli e dall’ufficiale dei carabinieri Giuseppe Lumia, edito da Piemme, racconta la storia criminale del boss della ‘ndragnheta Pasquale Condello, ergastolano, soprannominato “U Supremu”.

Una storia così terribile da trascendere quasi la realtà che si intreccia con tanti protagonisti della mafia siciliana.

Il libro si apre con il primo omicidio commesso da Condello. Alle 17 del 20 gennaio 1975, appena ventiquattrenne, ammazza don Antonio Macrì a Siderno (comune di circa 15.000 abitanti, che si trova sul versante jonico della provincia di Reggio Calabria). All’epoca, Macrì era l’uomo più rappresentativo della ’ndrangheta sia all’interno dell’organizzazione che negli equilibri criminali con le altre mafie.

Antonio Macrì è anche amico personale dei più potenti mafiosi palermitani: Angelo e Salvatore La Barbera, Luciano Liggio, i Greco di Ciaculli, Totò Riina e Bernardo Provenzano, e il loro maestro Michele Navarra, confinato negli anni Cinquanta a Gioiosa Marina, subito a nord di Siderno”.

La Siderno che un tempo è stata feudo di Antonio Macrì, è luogo in cui gli uomini d’onore palermitani hanno – nei decenni successivi – rinnovato alleanze e anche trovato rifugio durante le latitanze.

La cosca Aquino-Coluccio con base tra Siderno e l’attigua Gioisa Ionica, per come emerge dall’indagine “Acero” del Ros, ha rifornito di sostanze stupefacenti la famiglia palermitana di Corso dei Mille, che in quel momento storico era retta da Pietro Tagliavia , figlio dell’ergastolano Francesco. Ciccio Tagliava è uno degli autori delle stragi di via dei Georgofili e via D’Amelio.

Non è un caso che a Siderno, nel 2008, si era rifugiato Antonio Lo Nigro, inteso “Ciolla”, all’epoca reggente del mandamento di Brancaccio, ricercato ed inserito nel cosiddetto “elenco dei 100”. Colpito da provvedimento cautelare nell’ambito dell’operazione “Addiopizzo” Lo Nigro fuggì in Calabria dove trascorse le “vacanze”. Fu notato dai militari dell’Arma che tentarono invano di accerchiarlo all’interno di un lido.

La sua ascesa era dovuta anche alla parentela con Piero e Francesco Lo Nigro, personaggi di spicco negli anni ’60, arricchitisi con il contrabbando di sigarette. D’altra parte Lo Nigro è anche nipote di Pietro Tagliavia, boss storico della famiglia di Corso dei Mille. Nel 2008 il blitz Perseo lo piazzava al vertice del mandamento. L’ultimo suo arrestato è del 2018. Era latitante da un anno perché aveva violato la misura di prevenzione personale. Lo fermarono in macchina lungo l’autostrada del Sole nei presi di Frosinone. Era in possesso di un documento falso, ma la polizia lo aveva smascherato.

Il libro, attraverso una attenta analisi di atti giudiziari, ripercorre il momento in cui la ‘ndrangheta entra nel contrabbando, grazie ad importanti uomini d’onore palermitani. Era il 1964. In Italia, la storia del contrasto al contrabbando di tabacchi viene normalmente ambientata nel golfo di Napoli, sulle sponde della Sicilia orientale o lungo il versante adriatico della Puglia; qualche volta, vengono rievocati lontani episodi in Liguria. Ma mai si parla della Calabria. In realtà, agli inizi degli anni ’60, una serie di concause agevola l’ingresso della ’ndrangheta nel traffico di sigarette estere. La previsione del “diritto di inseguimento” da parte della Convenzione Internazionale di Ginevra che permette di bloccare in acque internazionali le navi contrabbandiere, l’annessione di Tangeri al Marocco con il conseguente spostamento delle basi contrabbandiere internazionali a Malta, la scomparsa dei Marsigliesi dal mercato a vantaggio dei siciliani ed una lunga sequela di successi operativi della Guardia di Finanza al largo di Campania, Sicilia e Liguria permettono alla ’ndrangheta di stare al tavolo dove siedono i capi delle grandi organizzazioni contrabbandiere che decidono le rotte.

Le trame criminali raccontate con la cura dei dettagli e la meticolosità che contraddistingue il lavoro del cronista e del’ufficiale affondano spesso le radici in Sicilia. Alle ore 07:15 del 23 giugno 1967, un’Alfa Romeo Giulia di colore bianco arriva a forte velocità nella piazza del mercato di Locri, cittadina della sponda jonica della Calabria. Dalla macchina, scendono due uomini a volto scoperto che impugnano un fucile ed un mitra. Sparano all’impazzata sulla folla, feriscono cinque uomini e uccidono uno dei massimi esponenti della ’ndrangheta locale. Le cronache del tempo la definiscono la “strage di Locri”. Da subito, una delle ipotesi più attendibili per carabinieri e polizia è che si tratti di un regolamento di conti per un carico di sigarette estere. Gli informatori confermano che alla base della “strage di Locri” ci sono le “bionde” e additano quali killer due palermitani abituali frequentatori del litorale jonico, che dopo la sparatoria hanno fatto le valigie e sono rientrati in Sicilia.

Quando Condello finisce in carcere per la prima volta viene stretto un patto tra ’ndrangheta e Cosa Nostra nei traffici illegali su larga scala. Alle 18 del 16 agosto 1972, dentro la stanza di un famoso albergo napoletano – l’Hotel “Commodore” – i carabinieri arrestano Pasquale Condello e il suo capo Paolo De Stefano. Stavano facendo una riunione con Giuseppe Savoca di Brancaccio e due boss della camorra particolarmente attivi nel contrabbando. Dopo la perquisizione, tutti e cinque vengono arrestati con l’accusa di associazione per delinquere, contrabbando di tabacchi e traffico di stupefacenti.

Sotto la camicia, Condello nascondeva una pistola pronta a fare fuoco: una Browning semiautomatica calibro 7.65 con colpo in canna e due caricatori di riserva da sette proiettili ciascuno.

Paolo De Stefano era amico di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia, fra i primi a cadere nella guerra di mafia dei corleonesi che conquistarono Palermo. Senza dimenticare che don Mico Tripodo, il delfino di Macrì, nel 1974 era stato compare d’anello al matrimonio segreto tra Totò Riina e Ninetta Bagarella e per decenni aveva comandato sull’intera città di Reggio Calabria. Fu ammazzato nel carcere di Poggioreale il 26 agosto 1976, su mandato di Paolo De Stefano. La morte di Tripodo chiude la prima guerra di ‘ndrangheta, iniziata con l’assassinio di Macrì per mano di Condello.

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