"Di Maio dopo cinque anni si scusa, Crocetta dopo dieci anni no" - Live Sicilia

“Di Maio dopo cinque anni si scusa, Crocetta dopo dieci anni no”

La lettera di Gregorio Arena, giornalista che faceva parte dell'ufficio stampa smantellato dall'ex governatore.

Gregorio Arena, giornalista dell’ufficio stampa della Regione smantellato anni fa da Rosario Crocetta, con contorno all’epoca di commenti pesanti dell’allora governatore in tv, scrive a Livesicilia, per condividere una riflessione. Che parte dalle scuse, che hanno fatto clamore, di Luigi Di Maio sul “caso Uggetti”: “La sentenza che ha completamente scagionato Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi, dall’accusa di aver truccato un appalto ha prodotto un effetto di cui – in maniera ipocrita – i comunicatori italiani discutono da ieri – scrive Arena -. Luigi di Maio ha infatti ufficialmente riconosciuto che il suo movimento ha utilizzato la cosiddetta “gogna” mediatica e giudiziaria a fini politici. Sbagliando, ha detto l’ex leader dei Cinque stelle. Un errore – ha continuato – da non ripetere. La cosa probabilmente più rilevante sono state le pubbliche scuse che Di Maio ha offerto alla vittima delle accuse ingiuste e infamanti che il suo partito – cinque anni fa – ha amplificato e utilizzato senza alcuno scrupolo. Fin qui la cronaca”.

A questa Arena dice di avvertire il bisogno “di affiancare una cronaca siciliana ‘parallela’ che riguarda infamie altrettanto gravi e altrettanto infondate che hanno provocato conseguenze gravi tanto quante quelle subite dall’ex sindaco di Lodi. Parlo delle infamie e delle volgarissime accuse che Rosario Crocetta lanciò contro di me in diretta tv ormai dieci anni fa per “giustificare” il mio licenziamento in tronco dall’ufficio stampa della Regione siciliana. Simone Uggetti, per le accuse che gli vennero indirizzate – dalla magistratura – fu costretto ad abbandonare la guida del Comune di Lodi. Nel mio caso non c’era la magistratura a lanciare un’ accusa, ma un “don Chisciotte” di provincia, assurto agli onori delle cronache nazionali sventolando l’improbabile bandiera di una “nuova” antimafia. E per questo immediatamente santificato in vita. La sua parola valeva – allora – molto più di una inchiesta. E quando mi accusò di essere un assenteista cronico, uso a “derubare” la Regione dei miei favolosi stipendi, non ci fu partita”.

Arena ricorda di avere fatto valere le sue ragioni dinanzi al Tribunale del lavoro ma anche che attorno a lui fu fatta “terra bruciata”: “Impossibile trovare un qualsiasi altro “datore di lavoro” disposto a mettersi in casa un assenteista finito nel mirino dell’antimafia “gridata”. Dieci anni dopo è stata – anche nel mio caso – la magistratura a bollare come infamie le accuse del paladino dell’antimafia farlocca. Inutilmente”.

Arena afferma che Crocetta non abbia pagato la provvisionale di 20mila euro disposta dai giudici. E sottolinea come l’ex presidente della Regione “a differenza di Luigi Di Maio – non si è neanche scusato. E non lo ha fatto neanche il suo amico Massimo Giletti. Che – ironia della sorte  – continua ad ospitare nella sua ‘Arena’” Crocetta.

Arena, ricordando tra l’altro le vicende legate al sistema Montante per le quali Crocetta è stato indagato, conclude la sua lettera con un invito: “Ai colleghi giornalisti vorrei dare un modesto suggerimento, dal mio “buenretiro” di Bruxelles: provate, per un attimo, a indagare sulle vite – distrutte – di chi è stato vittima di queste infamie. Indagate sul loro stato d’animo. Domandate alle mogli, ai figli, ai padri e alle madri, cosa si prova quando la gente – per strada, o a scuola, all’università o al supermercato – ti guarda in quel modo “strano”…”.

“Nessuno. Nessuna scusa. Nessun atto riparatorio, potrà riparare il danno dell’infamia”, dice Arena . Che più avanti chiosa: “Si, io tengo la sentenza che assolve me e condanna Crocetta sulla mia scrivania, accanto alla foto di mio padre che è morto attendendo – invano – che la giustizia facesse il suo corso. Restituendo a suo figlio l’onorabilità rubata. La tengo sulla mia scrivania insieme agli oggetti più cari che riguardano la mia compagna, i miei quattro figli, mia madre, mia sorella, mio cognato, i miei nipoti. Sperando che ne possa trascendere “pace”. Ma nulla cambia. Nulla. Solo il tempo, forse, cancellerà questo dolore. Dieci anni, ad oggi, non sono bastati”.


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