"Agente talpa al servizio dei boss" in cambio di ricotta e vestiti

Carcere colabrodo: “Un agente talpa al servizio dei boss”

Ipotesi corruzione: favori in cambio di cibo e benzina. Le intercettazioni

PALERMO – Una talpa dentro il carcere Pagliarelli di Palermo. Così viene descritto il ruolo di Santo Calandrino, ai domiciliari per corruzione. L’agente della polizia penitenziaria fa parte dell’elenco degli 81 arrestati del blitz dei carabinieri e della Direzione investigativa antimafia.

Secondo la Procura di Palermo, Calandrino si sarebbe piegato ai desiderata di Giuseppe Tola, arrestato nella stessa operazione ma per concorso esterno in associazione mafiosa. In cambio delle sue “condotte contrarie ai doveri di ufficio” l’agente avrebbe ottenuto anche cibo e vestiti.

A Calandrino si rivolgeva Tola per avere notizie sul figlio Antonio e sul fratello Vincenzo, entrambi detenuti al Pagliarelli e per fargli recapitare della posta. Le microspie hanno registrato le richieste di informazioni: “Ascolta qua, vedi che se lo stanno portando ora”; ”… è arrivato?”; “Fammelo sapere dov’è, l’hai capito?”.

Venne il giorno in cui anche Francesco Nania, un tempo reggente del mandamento di Partinico, ebbe necessità di avere notizie su un nuovo detenuto, Francesco Paolo Lo Iacono. “Là è, meglio di lui non ce ne sono”. E così Tola convocò Calandrino nella sua agenzia immobiliare a Partinico: “Di qua devi passare, Santino… che ho bisogno di parlare con te… “.

Le intercettazioni, secondo l’accusa, svelerebbero le regalie ottenute da Calandrino: il lavaggio mensile della propria autovettura (“Lavaggio pagato ogni mese, centoventi euro ti do e ogni mese ti deve lavare la macchina”), l’acquisto di carburante ad un prezzo scontato (“Lo sai chi ti manda a salutare, Santinè? Quello dei meloni dice: ‘Se ha bisogno di nafta me lo puoi dire… me lo dici che io, viene a prendere qua… a quanto gliela do a te gliela do a lui'”), fornitura di agrumi (“Sennò ti porti le arance, Santì. Una cassa di arance”), “ricotta la fine del mondo già pronta e buona lo capisci?” e persino un giubbotto sportivo.

Nania era preoccupato per il pentimento di Sergio Macaluso, boss di Resuttana, che aveva già inguaiato il nipote Lo Iacono (“Io già sono terrorizzato”). Niente a che vedere con il padre naturale di Macaluso, Francesco Lo Iacono (omonimo del detenuto) che “è morto mischino… a minchia facendosi la galera, no scherzando… e se ne è uscito morto è uscito”)


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