Le molestie e il ritorno dell'incubo: la storia di una donna medico - Live Sicilia

Le molestie e il ritorno dell’incubo: la storia di una donna medico

In questo racconto le contraddizioni di una società dove si condanna la violenza sulle donne ma solo con celebrazioni e passerelle.

Quando una donna arriva a pensare “che ha fatto male a denunciare le molestie che ha subito” allora, vuol dire, che la società civile e il mondo istituzionale ha fallito. Perché non basta inaugurare panchine rosse, organizzare convegni il 25 novembre o l’8 marzo, rilasciare interviste per “farsi belli” davanti alle telecamere. La violenza sulle donne si combatte, realmente, tra le mura domestiche, nel posto di lavoro, nel proprio animo. A che serve “celebrare” se poi una donna viene ancora giudicata per il modo di vestire e addirittura viene isolata perché ha avuto il coraggio – che in verità dovrebbe essere un atto civico e normale – di denunciare chi abusava di lei.

Eppure i dubbi si annidano nella mente di un donna medico –  la chiameremo Speranza – che sette anni fa dopo che chi si è sentita abbandonata da chi avrebbe dovuto proteggerla si è rivolta alla giustizia.  E arrivato un processo per chi aveva usato il suo “potere” di uomo per poter “toccare dove non doveva” con il ricatto (forse ancor più sporco della sue mani) di darle problemi nella sua carriera accademica e professionale. Un processo purtroppo lentissimo: la giustizia lumaca è una piaga atavica del nostro Paese.

Un grande coraggio e una grande forza quella di Speranza. I suoi occhi sono lucidi di lacrime quando – davanti a un’acqua tonica con un fetta di limone – racconta “l’incubo vissuto ogni volta che percorrevo i corridoi del reparto”. I mormorii, gli insulti, le etichette. Che dopo anni, ancora, deve affrontare. 

L’unico rifugio è la sua casa. “Lì sono moglie e mamma. E non mi sento giudicata. Ma quello che mi chiedo è perché devono far sentire me sbagliata e non chi mi ha molestata. Le mie denunce hanno portato al suo licenziamento, al suo rinvio a giudizio. E qualcuno mormora che è colpa mia. Ancora oggi, nel 2021, devo vivere con un cultura maschilista e antiquata. Poi ultimamente stanno accadendo avvenimenti che mi stanno facendo rivivere nuovamente quell’incubo sofferto da me e altre colleghe. Si paventa il ritorno in reparto della persona a cui avevo chiesto tutela e che secondo me me l’ha negata. Ma mi sto trovando davanti a un muro di gomma. Ho già dovuto affrontare molte ingiustizie, alcune volte penso che sto combattendo contro un sistema di potere incrollabile. Alcune volte penso che forse avrei vissuto meglio stando zitta. Quando vengono i miei genitori a casa devo nascondere carte e fascicoli perché ho paura di dargli un dolore. Sono anche una mamma che deve proteggere il suo bambino da chi non capirebbe”. 

Momenti di debolezza. Ma in fondo questa donna dagli occhi luminosi è una gladiatrice. E ancora una volta ha preso carta e penna e si è rivolta alla giustizia. “Io so di avere dalla mia la verità. E per questo che vado avanti”. 

Raccontare la sua storia è un modo per scuotere le coscienze. Speranza non smette di combattere. “Le dico che in questi anni, leggendo atti processuali e vedendo archiviazioni, ho pensato che non basta avere in mano la verità. Mi sento inghiottire in una voragine. Ma non possono vincere loro”, dice. Le donne hanno forze inesauribili. 


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