Palermo e la Regione, elezioni: iniziano le grandi manovre - Live Sicilia

Palermo e la Regione, elezioni: iniziano le grandi manovre

Fibrillazioni, strategie. Cosa sta accadendo
L'ANALISI
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Ci siamo abituati, ed è un male, intendiamoci. Si avvicinano le elezioni nelle due città metropolitane, Palermo e Catania, alla Regione Siciliana, in diversi comuni e iniziano le “grandi” manovre dei partiti e di singoli esponenti politici. “Grandi” tra virgolette perché di grande non c’è nulla, solo cambi di casacca, l’ultimo che sta suscitando clamore e fibrillazioni il passaggio di Luca Sammartino (e di altri) da Italia Viva alla Lega, riposizionamenti, ricerca del facile consenso con l’elargizione, per carità, legittima, di sovvenzioni, contributi, finanziamenti, attraverso promesse di concorsi quanto prima. La solita minestra, insomma, piuttosto indigesta che niente ha a che vedere con gli ideali (c’è chi esce da un partito ed entra in un altro sulla carta alternativi con invidiabile disinvoltura), con le scelte programmatiche, i contenuti.

Del resto, ormai gli elettorati, ahinoi, si sono adeguati, si sono ridotti allo zoccolo duro dei partiti stessi e dei capi bastone, dei mietitori di voti ovunque vadano. Il consenso libero è limitatissimo, probabilmente nascosto nell’ormai enorme bacino degli astensionisti (si supera sovente la metà degli aventi diritto!), di coloro che da anni hanno rinunciato a sperare in un cambiamento concreto che finalmente conduca la Sicilia fuori dalle secolari secche del sottosviluppo, del clientelismo, della corruzione, nel peggiore dei casi delle scellerate collusioni o connivenze con la mafia. Purtroppo così stanno le cose. La Lega, incredibile ma vero, lo consentono dei siciliani, mira a obiettivi ambiziosi, addirittura alla presidenza della Regione dentro un gioco di caselle, tipo Monopoli, necessario per cercare di tenere insieme il fronte del centrodestra che, inutile negarlo, è diviso. E’ diviso perché esiste un evidente scontro per la leadership tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, per il difficile rapporto tra Lega e Forza Italia, che in Sicilia cerca di frenare la lenta emorragia di voti sul piano nazionale imponendo la propria autonomia sul sovranismo leghista, e anche perché la pretesa di Nello Musumeci di ricandidarsi al piano nobile di Palazzo d’Orleans, dopo un’esperienza governativa assai deludente, risulta una sorta di inciampo nelle tattiche del “capitano” in camicia verde improvvisamente convertitosi dal secessionismo sfrenato al molto conveniente amore per il Sud. Chi si candiderà, nel centrodestra, alla presidenza della Regione? Chi alle sedie più alte di Palazzo delle Aquile e più tardi di Palazzo degli Elefanti?

La guerra è aperta e in qualche modo costringe particolarmente la Lega a smarcarsi quasi quotidianamente dagli indirizzi di Mario Draghi nonostante faccia parte della maggioranza. Il motivo è semplice, gareggiare con la Meloni per non lasciare alla leader di Fratelli d’Italia l’esclusiva di forza d’opposizione. Il classico colpo al cerchio e alla botte. Nel centrosinistra, mi si perdoni la franchezza, ritorna il solito ritornello dell’appello ai soggetti cosiddetti “moderati”, un’incomprensibile categoria dello spirito visto che di soggetti rivoluzionari, radicali e massimalisti non velleitari in Italia non vi è traccia alcuna. Non si comprende bene perché non è chiaro se si mira a voti ritenuti certi, il rassicurante voto d’apparato, o al più difficile consenso diffuso dei cittadini intesi come moderati. Qui sta l’elemento centrale circa gli intendimenti del PD e del M5S. Chi scrive non appartiene ad alcun partito e non intende farlo in futuro, in piena libertà di pensiero ho ripetutamente espresso l’auspicio di una forte alleanza strutturale e programmatica tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle adesso di Giuseppe Conte.

Abbiamo letto su Livesicilia dichiarazioni in tal senso del segretario regionale dem Anthony Barbagallo e del sottosegretario grillino Giancarlo Cancelleri, dichiarazioni circa la costituzione di un asse preferenziale tra i due partiti per poi allargare il fronte con non meglio specificati soggetti “moderati”, riferendosi probabilmente anche a Forza Italia per strapparla ai tentativi d’annessione del Carroccio. La sortita pare non sia piaciuta a qualcuno in casa pentastellata, specialmente quando è stato evocato il modello Draghi. Chi evoca il modello Draghi sbaglia per un piccolo dettaglio, a Roma c’è la Lega e nessuno nel PD e nel M5S, almeno immagino, si sogna minimamente di replicare tale ammucchiata informe qui in Sicilia.

Sgombrato il campo dal modello Draghi rimane da intendersi sull’appello ai moderati. Se si tratta di giochetti con forze politiche e loro esponenti che in questi anni hanno allegramente solcato i mari del trasformismo da destra a sinistra allora un grosso NO, non basta vincere se poi devi sottostare incatenato alle vecchie logiche che ben conosciamo (con possibili rovesciamenti delle maggioranze); se invece si vuole parlare, mediante temi e soluzioni, agli elettori che non si riconoscono negli attuali partiti, allora un grosso SÌ. Non è acqua fresca l’impresa, non siamo ingenui, ma la scommessa è tutta qui, marcare la differenza, credere nel proprio progetto politico, nella visione innovativa della Sicilia che si vuol proporre agli elettori scrivendo insieme un programma affascinante ma fattibile ed esprimendo una candidatura alla presidenza credibile. In politica non convinci se non sei convinto e non bisogna aver paura di rischiare quando sai di essere davvero portatore di una autentica novità. Il resto è noioso politichese e occupazione di poltrone.


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