Sicilia, nei reparti 'salvavita': ecco l’inferno del Covid

Sicilia, nei reparti ‘salvavita’: ecco l’inferno del Covid

Il racconto della dottoressa del 'Cervello' e quei momenti tragici.
IL RACCONTO DEI DOTTORI
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PALERMO- C’è una parola che va tragicamente di moda tra chiunque indossi un camice in un reparto Covid: burnout. Significa, approssimativamente, lo stress cronico e via via insopportabile legato al lavoro. In concreto? Lacrime che scendono dagli occhi e inumidiscono la mascherina. Dolore, anche rabbia. Voglia di picchiare le mani su una superficie solida di qualcosa, per sfogarsi. Gambe molli, testa pesante. E una domanda: mio Dio, quando finirà? Ed è una fortuna che ci sia una parola per contenere ciò che non è contenibile. A quale grado di disperazione arriveremmo, se non ci fossero le parole?

La vita in una Terapia intensiva

La dottoressa Marianna Perfetto, cinquantotto anni, qualche anno dalla pensione, è un medico che sa il fatto suo, come i suoi colleghi della Terapia intensiva Covid dell’ospedale ‘Cervello’, guidata dal dottore Baldo Renda. “La nostra forza – racconta – è l’unione. Remiamo tutti dalla stessa parte. Il periodo è pesante, siamo stanchi ma consapevoli della missione che dobbiamo compiere insieme. Speravamo che gli eventi di questi giorni non accadessero, che il Covid non tornasse, ad agosto, in maniera così brutale. Purtroppo, è andata diversamente”.

La tragedia dei non vaccinati

Quel ‘diversamente’, alla luce della cronaca, ha un significato preciso. Nei sedici posti della rianimazione, quasi del tutti occupati, solo due pazienti sono vaccinati. Forse, la sofferenza che si sarebbe potuta evitare fa ancora più male. “Ormai – dice la dottoressa Perfetto – non c’è una fascia più a rischio per età. L’unica distinzione che conta e se sei vaccinato oppure no. Nel secondo caso, sei in grave pericolo. Io sono anestesista e rianimatrice. Con un’altra collega, qui, sono la più anziana. Avevo immaginato di concludere i miei quasi quarant’anni nella Sanità pubblica in pace. Invece, c’è toccata la guerra”.

Occhi sbarrati e lacrime

E’ un reparto ‘salvavita’ quello di cui parliamo. Arrivano pazienti gravissimi e sono i medici che realizzano veri e propri miracoli. Ma il carico resta pesante, ogni persona che muore spalanca un conto in rosso. La dottoressa Perfetto racconta: “E’ tremendo vedere le persone che muoiono, che vengono intubate e prima di essere sedate erano perfettamente lucide. I nostri pazienti hanno tutti, ed è comprensibile, uno sguardo di terrore. Vorremmo aiutarli, facciamo l’impossibile, mentre desaturano rapidamente e hanno problemi a respirare. Qualcuno fa in tempo a chiederlo: dottore, sto morendo? Qualcuno piange. E può capitare che ci fermiamo un momento per piangere pure noi. Ma questa è una guerra e abbiamo giurato di combatterla senza risparmio”. Si scrive burnot. Si legge: il mio cuore è spezzato, ma vado avanti lo stesso.

(foto generica d’archivio)


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