L'arresto di Messina Denaro: retroscena di un errore di persona

L’arresto di Messina Denaro: errore di persona, i retroscena

Cosa ha portato gli investigatori dentro il ristorante olandese

PALERMO – In fin dei conti, a sentire gli investigatori, nessuno ha creduto che al tavolo del ristorante olandese ci fosse seduto Matteo Messina Denaro. O meglio, nessuno fra coloro che hanno il compito di dare la caccia al latitante. Sono tanti e tutti coordinati dalla Procura di Palermo che alla pista olandese non ha dato alcun peso neppure per un solo istante.

Altro che latitante, era un turista

Il punto è che i magistrati palermitani non erano stati informati del blitz coordinato dalla Procura di Trento. Mercoledì scorso le forze speciali olandesi sono piombate, armi in pugno, in un ristorante all’Aja. Invece di Messina Denaro hanno trovato un turista inglese – il suo nome è Mark e ha 54 anni – che era andato in Olanda con il figlio per assistere al Gran Premio di Formula 1 a Zandvoort.

Non ci sono dubbi: il Dna ha confermato che non si tratta di Matteo Messina Denaro. Del fantasma di Castelvetrano, ricercato da quasi trent’anni, nulla sappiamo ma si conserva in cassaforte il suo profilo genetico per essere certi, quando lo acciufferanno, che sia davvero lui.

C’è chi smorza le polemiche

Il punto è che il pubblico ministero olandese ha dichiarato che l’uomo “non era quello ricercato dalle autorità italiane”. Di quali autorità parla? Solo la Procura di Palermo è autorizzata a coordinate le indagini. Il procuratore di Trento Sandro Raimondi ha smorzato le polemiche: “Non c’è nessun mandato di cattura europeo da parte della Procura di Trento”. Il blitz partirebbe da un’inchiesta in corso sulle infiltrazioni delle cosche siciliane e soprattutto calabresi nel Nord Italia per riciclare il denaro.

Chi getta acqua sul fuoco è soprattutto il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, che ha il compito di coordinare le indagini delle varie procure distrettuali antimafia. “Abbiamo operato in maniera corretta — ha detto nei gironi scorsi —, se l’indagine di Trento avesse avuto profili di sovrapposizione con l’inchiesta della Procura di Palermo allora sarebbe stato dovuto il coinvolgimento anche di quell’ufficio. Ma l’indagine di Trento, che non riguardava il latitante, era fondata su fatti autonomi”.

Lo stesso Cafiero de Raho nel 2019 e nel 2020 aveva ripetuto “sono convinto che lo arresteremo a breve”. Parole che, alla luce dei mancati risultati, va preso come un auspicio. Nel frattempo sul tavolo della Procura di Palermo si accumulano montagne di segnalazioni. Il latitante viene avvistato in giro per l’Italia e per il mondo e ogni volta si attiva il protocollo per accertare se sia davvero lui, coordinato dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido.

A stimolare le segnalazioni è pure la taglia messa dai servizi segreti sulla testa del capomafia. Nel 2010 trapelò una cifra vicina al milione e mezzo di euro. Undici anni dopo sarà certo aumentata. Nel frattempo al latitante gli hanno arrestato di tutto. Non c’è parente che non sia finito in carcere e centimetro quadrato di casa, magazzino o anfratto che non sia stato perlustrato.

Di lui hanno detto che si è rifatto il volto con una radicale plastica facciale, ha cambiato il tono della voce con un’operazione alle corde vocali. Neppure i polpastrelli per le impronte digitali sono più quelli di una volta.

L’ultima traccia concreta

L’ultima volta che si è parlato di lui in maniera concreta è stato il 2 maggio 2019 all’interno dello studio legale dell’avvocato Anna Porcello. A parlare erano Giancarlo Buggea, uomo d’onore di Canicattì, e Simone Castello di Villabate, che in passato è stato uno dei posti di Bernardo Provenzano. Discutevano di un grosso affare che doveva coinvolgere anche la famiglia americana dei Gambino.

Buggea e Castello ad un certo si sono zittiti e hanno iniziato a comunicare scrivendo su un foglio di carta. Buggea, però, sussurrava il nome del latitante: “Messina Denaro… iddu… la mamma del nipote che è di qua… è mia commare… hanno sequestrato tutti i telegrammi mandati dalla posta di Canicattì… per vedere… per capire…”. Secondo gli investigatori, dovrebbe trattarsi di Maria Insalaco, la madre di Luca Bellomo, nipote di Messina Denaro (è il marito di Lorenza Guttadauro). Solo che la donna è deceduta ad aprile 2019.

Il fantasma di Cosa Nostra

Messina Denaro è davvero il capo dell’intera Cosa Nostra? Di lui non c’è traccia. Nei recenti tentativi di riorganizzare la mafia, partiti da Palermo, non si fa menzione del latitante. Tutti i mafiosi a cui era storicamente legato sono stati arrestati o sono morti. Oggi il capomafia – potente, temuto e rispettato – potrebbe essere impegnato a nascondersi. Si farebbe vivo, di tanto in tanto, per sistemare alcune faccende apparentemente minori. Non può fare passi falsi.


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