Il "Pablo Escobar" di Carini tradito dal virus trojan

Il “Pablo Escobar” di Carini tradito dal virus trojan

Cocaina, hashish e marijuana comprati a Palermo e spacciati a Carini. Ci sono fornitori ancora non identificati

PALERMO – Qualcuno si era addirittura spinto a definirlo il “Pablo Escobar” di Carini. A giudicare dalle intercettazioni dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria Francesco Alamia faceva girare parecchia droga nella piazza in provincia di Palermo.

Nel blitz che lo ha portato in carcere assieme ad altre otto persone la Procura gli contesta il ruolo di capo assieme a Maurizio Di Stefano. Il loro braccio destro sarebbe stato Maurizio Sciortino, ex dipendente della Rap licenziato quando due anni fa si è scoperto che consegnava la droga a domicilio a bordo dell’autocompattatore per la raccolta dei rifiuti.

Alamia e Di Stefano avrebbero comprato la droga poi affidata alla rete di distribuzione gestita, secondo l’accusa, da Antonino Giuffrè e Antonino Velardi. I fornitori di cocaina, hashish e marijuana sarebbero stati Paolo Di Maggio e Paolo Dragotto che fino al loro arresto, avvenuto nel maggio 2019, operavano nella zona di Borgo Nuovo. Ci sono altri fornitori ancora da identificare, sempre a Borgo Nuovo e anche allo Zen.

Di Stefano nascondeva la droga nelle intercapedini realizzate nei banconi del panificio della compagna, a Carini. I loro telefonini erano sotto intercettazione con il trojan. Ed ecco che Giuffrè, rivolgendosi ad Alama, diceva, “Pablo Escobar non mi fare stare senza”. Addirittura lo paragonava al re colombiano del narcotraffico. Ad un certo punto era saltata una fornitura. Alamia sapeva di non potersi fermare: “Pure se la prendo a 1700 non mi interessa ma devo garantire in questi giorni”. C’era qualcuno non ancora identificato pronto a rifornirli.


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