L'avvocato, i mafiosi e l'usura: "La toga la posso bruciare"

L’avvocato, i mafiosi e l’usura: “La toga la posso bruciare”

I rapporti con il boss di Misilmeri, i soldi nascosti e i debiti: la parabola del legale finito in carcere

PALERMO – Portavoce del boss, usuraio e, infine, egli stesso vittima degli strozzini. L’inchiesta della Procura di Palermo svelerebbe la parabola dell’avvocato Alessandro Del Giudice, arrestato nella notte con l’accusa di concorso in associazione mafiosa e usura.

Il primo colloquio in carcere

Il 20 dicembre 2013 Pietro Formoso fece il suo ingresso nel carcere Pagliarelli di Palermo per scontare una condanna per traffico internazionale di droga. Qualche anno dopo finirà sotto inchiesta anche per mafia. La scorsa estate è stato condannato in primo grado a 12 anni. Avrebbe seguito l’esempio dei fratelli stragisti che stanno scontando l’ergastolo per avere partecipato alla strage di Milano del 1993.

Ad incontrare Formoso in carcere si recava l’avvocato Alessandro Del Giudice, suo legale difensore. Man mano che i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria registravano le conversazioni è venuto fuori il ruolo di portavoce del boss. Successivamente i carabinieri hanno scoperto che Del Giudice avrebbe procacciato i clienti dei prestiti a usura erogati da Giovanni Di Salvo e Simone Nappini, anche loro arrestati nel blitz.

Chi è l’avvocato Del Giudice

Del Giudice è parente di Atanasio Ugo Leonforte, personaggio di spicco della famiglia mafiosa di Ficarazzi e figlio dell’anziano borsa Emanuele Leonforte, ucciso durante la prima guerra di mafia degli anni Novanta. È lui stesso ad ammettere, vantandosene, di essere inserito nei circuiti mafiosi che contano: “Non ne ho vero problemi, non con le chiacchiere… dove arrivo io non ci potete arrivare non ci può arrivare nessuno… Palermo Centro ci possiamo scommettere la meglio scommessa del mondo”.

I pizzini fuori dal carcere

L’avvocato si sarebbe prodigato per organizzare incontri e portare i messaggi di Formoso all’esterno del carcere: “Aspè… ora ti do un pezzettino di carta… tieni qua… mettiti questo coso nella tasca e poi te lo leggi… levati qua per ora…”, diceva Formoso mentre infilava la mano nella tasca dei pantaloni e passava un foglietto all’avvocato. Altre volte lo informava di alcuni affari in corso: “… ha iniziato il cantiere pure a Carini”, diceva riferendosi a una impresa riconducibile a Formoso, ma intestata a un prestanome. Oppure Formoso lo incaricava di sistemare alcune faccende: “Ti sei fatto dare i piccioli di Giacomino?”.

Quel “cannavazzo” dell’avvocato

Del Giudice ad un certo punto sarebbe finito nelle mani di Formoso che non usava parole tenere nei suoi confronti: “… cannavazzo gli dici urgentemente che si rompe le gambe viene a farmi il colloquio prima di mandarlo affanculo… ho i miei motivi va bene?”.

Del Giudice sapeva di avere superato il limite, oltraggiando la toga che indossava. Lo ammetteva a una collega: “… vedi Pietro Formoso quanti clienti ci portava… se mi sono trovato pure a scendere a compromessi con il signor Formoso a darci questa confidenza perché giustamente nei momenti di bisogno che noi avevamo gli dicevo prestami tot e allora giustamente dopo mi dovevo disobbligare e io mi ritrovo con altri due giorni la toga la posso prendere la posso bruciare”.

Duecento mila euro in un terreno

I rapporti tra i due erano diventati tesi. Eppure all’inizio Formoso si era fidato dell’avvocato, che confermava di conoscere i segreti del boss. Ad esempio era stato incaricato di prendere duecento mila euro nascosti in un terreno a Misilmeri: “Ho detto mi sono arricchito sono andato… non li ho trovati e gli ho detto Pietro non li ho trovati”.

Il giro di usura

Ben presto le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, avrebbero svelato un altro volto di Del Giudice, quello del procacciatore di clienti del giro di usura. Si era sparsa la voce e persone disperate andavano nel suo studio. L’avvocato offriva quella che presentava come una via di uscita: “Qua è uno studio legale è… aiuto il prossimo tu hai bisogno di 3.000 come li vuoi pagare?”.

“La colpa è mia”

Poi qualcosa ha iniziato ad andare storto e le microspie hanno svelato le paure del legale: “La colpa è mia perché mi metto in certe situazioni che non mi ci dovrei mettere io dovrei fare solo l’avvocato e basta me ne cerco pure io certe cose”.

Del Giudice era debitore di Giovanni Di Salvo e non sapeva come pagare: “Io stasera mi faccio un biglietto… me ne vado perché queste a me mi vengono a rovinare… ora vado a prendere l’atto della casa e gli dico Giovà ti faccio un compromesso fai finta che ti sto vendendo la casa… basta ho terminato Nino… non voglio avere più a che fare con nessuno… tutti sti assegni facendo il conto sono qualche 30.000 di assegni come m… glieli devo dare posso andarmi a vendere una casa… ora io sono in default”.

La visita in studio e le minacce

E così anche il legale ha conosciuto la reazione che si subisce quando non si onorano i debiti con gli usurai. Il 5 ottobre 2018 ricevette la visita di Di Salvo, le cui intenzioni erano minacciose: “… mi devi dare un sacco di soldi”. “Non ce la faccio Giovanni”, diceva il legale. Che fu messo spalle al muro. Gli frugò le tasche: “… non ne ho… dai che devo fare la spesa dai andiamo ti giuro vero… 25 euro questi ti posso dare”. La risposta fu tranciante: “… ogni giorno vengo e ti tolgo tutti i soldi alla tasca”.


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