Riforma del catasto all'orizzonte, ma occhio alla pressione fiscale

Riforma del catasto all’orizzonte, ma occhio alla pressione fiscale

Un settore in cui bisogna intervenire

Siamo in momento estremamente critico, sia dal punto di vista sanitario, sia dal punto di vista economico. Eppure, proprio in questo periodo, ci troviamo a dovere affrontare, oltre alle tantissime problematiche legate alla pandemia ed alle sue conseguenze, anche il tema., estremamente difficile , delle riforme fiscali.

Parliamo di riforme (quella tributaria in generale, quella del contenzioso, quella della riscossione e quella del catasto) per le quali si è in attesa di metterci mano da diversi decenni (l’ultima vera riforma fiscale generale risale agli anni ’70 e quella del contenzioso all’inizio degli anni ‘90’), specialmente a causa di migliaia di disposizioni legislative (con relative istruzioni dell’Amministrazione Finanziaria) che nel corso di questi decenni si sono stratificate, rendendo la materia fiscale di difficilissima interpretazione e di difficilissima applicazione, creando in questo modo, non solo una repulsione dei cittadini (anche quelli onesti) verso la materia tributaria, ma creando il terreno fertile per l’evasione e probabilmente per altri comportamenti illeciti.

Ciò nonostante, sono tantissimi anni che si continua a sbandierare la necessità della “tax compliance”, l’adesione spontanea agli adempimenti tributaria che costituisce l’univo vero modo per ridurre l’evasione. Addirittura, nel corso del Festival nazionale dell’economia civile, tenutosi a Firenze dal 24 a 26 settembre scorso, è stata sottolineata la necessità di avere una tassazione etica e sostenibile, ossia con un prelievo fiscale che sia comprensibile, semplice e fondato sul consenso. Tutti i relatori (tra cui Franco Gallo, Giacinto della Cananea, Franco Massi, Ernesto Ruffini, Giuseppe Zaferana e Fabrizia La Pecorella), hanno sottolineato la necessità della certezza del diritto e del legittimo affidamento, del miglioramento della Giustizia Tributaria, della possibilità del cittadino di conoscere la destinazione del denaro versato nelle casse dell’Erario, della consapevolezza di trovarsi di fronte ad un fisco (l’Agenzia delle Entrate, in particolare) che aiuti il contribuente piuttosto che “investirlo” nell’espletamento dei poteri che la legge affida agli uffici.

Parole che, in verità, considerato quanto si è fatto (sarebbe meglio dire non si è fatto) nel corso degli ultimi cinquant’anni, suonano come mera utopia. Eppure oggi si ricomincia a parlare di riforme. Meglio così, evidentemente. Speriamo, tuttavia, che le riforme promesse siano veramente innovatrici e portatrici di semplicità e chiarezza.

C’è da dire, per la verità, che probabilmente di riforme, specialmente in questo periodo così complicato, non se ne sarebbe parlato se la loro esigenza non fosse stata sottolineata, e indicata come condizione, dall’Unione Europea, nel momento in cui è chiamata ad erogare i cospicui contributi previsti dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR).

Senza le riforme, quindi, i quattrini attesi si allontanano sempre di più. Ecco quindi l’urgenza di metterci mano, una urgenza che, ad avviso di chi scrive, serve tantissimo anche per la ripresa della nostra economia e per l’aumento della tax compliance.

Per la riforma fiscale in generale, è stata già presentata una relazione in Parlamento e si è in attesa della bozza della relativa “legge delega”. E’ chiaro che realizzarla non è cosa semplice. Si devono inventariare tutte le disposizioni esistenti, capire quali sono quelle utili e quelle da eliminare, fare pulizia dei tributi che non danno gettito ma solo costi, e poi formare i tanto attesi “Testi Unici”, divisi in due parti, una “generale” ed un’altra “speciale”, ciascuna ripartita in più “libri”.

C’è da dire, peraltro, che secondo il Ministro delle Finanze, Franco, la sua attuazione dovrà avvenire “a costo zero” e, come è assolutamente evidente a tutti, se non è facile trovare il modo di fare una sintesi che semplifichi e razionalizzi tutte le norme tributarie esistenti, è certamente difficilissimo trovare il modo di abbattere le aliquote IRPEF per le fasce di reddito medio alte ed eliminare l’IRAP in tempi brevi.

Sulla riforma della Giustizia Tributaria, invece, pare che si sia un po’ più avanti. in data 30 giugno 2021, è stata licenziata la relazione della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria istituita il 14 aprile 2021. La Relazione indica tra le maggiori criticità dell’attuale sistema del contenzioso fiscale la complessità delle norme, l’insufficienza delle banche dati a disposizione dei cittadini e dei loro difensori, l’eccessiva durata dei processi, l’insufficiente livello di specializzazione dei giudici, le eccessive dimensioni del contenzioso esistente, l’imperfetta indipendenza dei giudici.

Ed a tale scopo indica sette direttrici al fine di rafforzare il contraddittorio endoprocedimentale e dell’autotutela, incrementare gli strumenti deflattivi del contenzioso (come la mediazione e la conciliazione), colmare il deficit di informazione sulla giurisprudenza dei giudici tributari, rafforzare la specializzazione dei giudici tributari, consolidare l’indipendenza dei giudici tributari, innalzare la qualità delle garanzie di difesa processuali , migliorare il giudizio di legittimità in Corte di Cassazione.

L’obiettivo finale, comunque, è certamente quello di ridurre il numero dei ricorsi in Cassazione, ma anche quello di avere una magistratura fiscale più stabile ed efficace e meno legata agli apparati burocratici del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Più vicina sembra la riforma della riscossione. L’esistenza di un enorme magazzino di somme iscritte a ruolo da tantissimi anni ma di fatto inesigibili, rende infatti urgente capire quali siano le somme ancora riscuotibili e quelle da abbandonare. Inoltre, l’emanazione delle numerosissime norme di sospensione dell’attività di notifica delle cartelle e di recupero dei rediti erariali iscritti a ruolo nel periodo della pandemia, ha creato una confusione tale da rendere assolutamente indispensabile riordinare le scadenze, semplificare l’istituto della dilazione delle somme da pagare, revisionare il sistema di pagamento dell’aggio spettante all’agente della riscossione e, perché no, rivedere la selva di percentuali di interessi applicabili in caso di ritardato pagamento, percentuali che sono diverse non solo a seconda del grado di resistenza del contribuente al pagamento, ma – e questo è più grave – anche a seconda che siano crediti dell’Erario oppure crediti del contribuente (rimborsi).

Sembra che la riforma della riscossione possa arrivare prima delle altre riforme in cantiere. Ma c’è anche la riforma del catasto, certamente quella più indesiderata. Di questa riforma, per la verità, dopo la revisione fatta alla fine degli anni ‘80, se ne è parlato fino ad una decina di anni fa, ma i problemi che comportava e che continua a comportare l’hanno fatta dimenticare, nascondendola sotto il tappeto.

Per il catasto, l’obiettivo della riforma è quello di migliorare la qualità del sistema di valutazione degli immobili, tenendo conto di numerosi fattori, come le reali dimensioni dell’immobile (in metri quadrati) attualmente ancorate al numero dei vani, la loro specifica tipologia, lo stato di conservazione, nonchè la possibile riqualificazione della zona nella quale è ubicato che fa alzare il suo valore legato all’ubicazione in una parte della città che, magari, tanti anni fa, era degradata.

Non si tratta, di questione di natura squisitamente fiscale. L’esistenza di rendite catastali vecchie di tantissimi anni fà, infatti, crea pure delle ingiustizie. Chi presenta un ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) con un valore di un immobile inferiore a quello reale può beneficiare infatti di agevolazioni che non gli spettano. Al contrario, chi presenta un ISEE con un valore superiore a quello reale, può essere privato di alcuni diritti che, altrimenti, gli sarebbero spettati.

Ma la parola d’ordine è sempre la stessa, nel senso che anche in questo caso non solo la riforma non deve comportare oneri aggiuntivi per l’Erario ma non deve nemmeno costituire un surrettizio aumento della pressione fiscale. Per la verità, sappiamo bene quanto sia già alta la pressione fiscale sugli immobili.

C’è l’IRPEF, c’è l’IMU, ci sono le imposte sui trasferimenti (principalmente l’imposta di registro e l’imposta ipotecaria), che già pesano moltissimo sul “mattone” (circa il 2,4% del PIL). Un prelievo tributario, quest’ultimo, che rappresenta una sorta di palla al piede per coloro i quali puntano sull’edilizia per fare riprendere la nostra economia.

E’ vero che la revisione del catasto darebbe maggiore credibilità e certezza al sistema, ma la grossa paura è che conduca inevitabilmente ad un innalzamento delle rendite e, conseguentemente, all’aumento della base imponibile di tutti i tributi che sulle rendite catastali applicano il prelievo.

Forse, se si vuole attuare una riforma del catasto senza aumentare il prelievo occorrerebbe anche rivedere la tassazione, le aliquote, insomma rivedere l’intero sistema della tassazione degli immobili non disgiuntamente dal più generale sistema di tassazione dei redditi, del patrimonio e dei trasferimenti, rivedendo cioè, così come ipotizzato, sia le imposte dirette che quelle indirette, oltre che, evidentemente, semplificando e rendendo la normativa chiara e facilmente applicabile da tutti.

E su questo principio pare sia d’accordo anche il Presidente del Coniglio Draghi il quale, nel corso della conferenza stampa per la presentazione del NADEF (Nota Aggiornamento Documento Economia e Finanza), ha affermato che occorre andare a fondo del problema, ma “l’impegno del Governo è che non si pagherà ne più ne meno di prima”. A tal fine è stata ipotizzata una prima ricognizione della situazione attuale,vper poi passare, tra qualche tempo, alla fase due, ossia alla nuova e più trasparente revisione della situazione catastale degli immobili.
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