Sicindustria Palermo, Russello: 'Sfida per il cambiamento' - Live Sicilia

Sicindustria Palermo, Russello: ‘Sfida per il cambiamento’

Le parole del nuovo presidente di Confindustria Palermo Pino Russello. I progetti per le imprese

PALERMO – Giuseppe Russello è il nuovo presidente di Sicindustria Palermo. Ingegnere, 59 anni, è stato eletto nell’associazione degli imprenditori dopo la lunga era segnata da Alessandro Albanese, a marzo scelto unanimemente a capo di Confindustria Sicilia. Di Albanese, Russello è stato fino a ieri vicepresidente con delega alle relazioni industriali. LEGGI IL NUOVO ORGANIGRAMMA E LE REAZIONI

Da ingegnere e imprenditore degli arredi ferroviari – è al timone come presidente e Ceo della Omer di Carini – parla con Livesicilia la lingua della “composizione” produttiva, come fosse poesia a più voci fra privato e pubblico, fra imprese e lavoratori: “La nostra sfida sta in una metrica da cambiare, in un mondo che ci cambia, adesso, sotto gli occhi. Guardi, non è un semplice slogan dire che la pandemia e il mutamento di logiche che la stanno attraversando, può tradursi in una quantità enorme di opportunità”.

Intanto, auguri di buon lavoro. Che Confindustria prende e in quale direzione si impegnerà a portarla?

“Grazie. Soprattutto ad Alessandro Albanese che ci ha guidato per oltre un decennio con un impegno che sarà difficile emulare: h24, 365 giorni all’anno, attraversando congiunture non certo semplici. Ha gestito un’associazione passata dentro momenti assolutamente critici, dentro turbolenze, in mezzo a una crisi economica epocale, e ora chiude mentre viviamo una pandemia che solo adesso ci lascia intravedere spiragli di speranza. Se è impossibile replicare un modello, la continuità con il suo mandato è doverosa e soprattutto utile, con la consapevolezza di dovere essere soggetto attivo e propositivo. Viviamo in una società dove i posti di lavoro dipendono dalla salute delle imprese”.

Ruolo primario delle imprese. E il pubblico?

“Dico che noi dal canto nostro non possiamo e non dobbiamo nasconderci, lavorando ogni giorno nelle nostre aziende per fare il nostro dovere, che è l’utile. Ciò non toglie l’importanza fondamentale di un confronto costruttivo e continuo con le istituzioni e con la politica, cui a sua volta, in questo frangente, è ancor meno consentito defilarsi. Si tratta di gestire, determinare l’ecosistema nel quale le imprese operano”.

Con la politica, una dialettica a volte difficile. Cosa le chiedete, nel cuore di una pandemia che ha messo in ginocchio molte aziende, al di là dei ristori che non bastano mai?
“Io chiedo al pubblico soltanto una cosa: fare esattamente ciò che ha fatto il privato. Ci siamo sobbarcato l’onere di gestire uno snodo drammatico, inventandoci soluzioni, chiedendo certamente l’intervento delle istituzioni, che però fossero capaci di guardare oltre l’emergenza. Come noi imprenditori siamo costretti a rispondere, per legge di mercato, dei risultati, così sarebbe il caso che anche il settore pubblico avesse questo approccio. Garantire ai cittadini servizi, ambienti sani, come dicevo creare quell’ecosistema sociale senza il quale le aziende non possono crescere e andare in giro per il mondo. Anche questo è risultato, profitto. Di questo ecosistema ancora in gran parte difettiamo”.

Lei vive nell’industria produttiva, nel manifatturiero, non un dettaglio in un contesto troppo spesso appeso più o meno passivamente al terziario, più o meno ebbro di novità 3.0 e in un indotto che ha tanto sofferto negli ultimi decenni. Che fare per contribuire a creare quel tessuto connettivo del quale parla?

“Intanto il digitale non può che esaltare e migliorare il nostro compito, che rimane produrre. Evviva le nuove tecnologie, significano fare le cose antiche con più precisione e qualità. Il problema non sono le tecnologie, ma le risorse umane in grado di applicarle e ottimizzarle. Non siamo certo messi bene in Sicilia, se consideriamo che quasi il 50 per cento dei ragazzi non va oltre la terza media. Come parlare di digitalizzazione con questi dati? La formazione, altro campo di aspra battaglia che dovremo portare avanti assieme alle pubbliche amministrazioni. Io sono molto… laico e umile, le ricette appartengono a chi può orientare scelte, decidere investimenti occupazionali. A noi resta il dovere di fare benissimo il nostro lavoro in azienda ogni giorno. Alla politica chiediamo attenzione, convinti come siamo che da questa crisi, da questa pandemia si esce tutti quanti assieme”.

Cosa sta cambiando attorno a noi e al nostro sistema produttivo?
“Il mondo sta andando verso una direzione semplicemente impensabile soltanto fino a qualche mese fa. Se la pandemia ha cancellato certezze, sta pure creando grandi opportunità. E non mi riferisco soltanto ai miliardi del Pnrr, è la geopolitica che sta cambiando, cambiando con sé la chiave di interpretazione della globalizzazione. La penuria di prodotti la cui produzione abbiamo finora delegato alla Cina, contribuendo a determinare una sorta di oligarchia produttiva che tiene in ostaggio tutti gli altri, sta spingendo a fenomeni di reshoring di produzioni importanti. Molte grandi imprese iniziano a tornare a casa, in Occidente. Se siamo bravi anche come imprenditori, dopo esserci scrollati di dosso certi fardelli infamanti come la mafia, se siamo laboriosi e positivi, saremo in grado di intercettare grandi investimenti e multinazionali”.

Da datore di lavoro, esperto di relazioni industriali costantemente consapevole del polso della fabbrica, come giudica le gravi tensioni sul green pass?

“Certi paradigmi per fortuna cambiano, in momenti di grave emergenza. Non si può pretendere di mettere a rischio la propria e l’altrui salute, anche se comprendo paure e disagi. Bisogna vaccinarsi e poterlo dimostrare. I dati sulle aziende a noi associate, freschissimi, ci danno percentuali di presenza praticamente assolute, con un 99,2% di addetti muniti di green pass. Praticamente tutti”.


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