Palermo, l’Amat e il grande buco: ecco i conti che scottano - Live Sicilia

Palermo, l’Amat e il grande buco: ecco i conti che scottano

Gristina è fra le voci mute, forse attonite, che attendono l’esito delle indagini sui bilanci del Comune

Era in arrivo la fattura milionaria per l’acquisto dei nuovi bus; era nell’aria, soprattutto, il missile finanziario della gestione del neonato tram. Nel 2018 Antonio Gristina, allora presidente di Amat, scelse di opporsi alla decisione di vuotare le fondamenta patrimoniali delle partecipate, della sua in particolare, trattandole come bancomat per le esangui casse del Comune. E si dimise, era il 3 luglio del 2018: la emblematica vicenda, benché incerottata, dell’approvazione del rendiconto 2017, sarebbe giunta di lì a poco. Oggi Gristina è, ovviamente, fra le voci mute, forse attonite come quelle di molti palermitani che attendono con la giusta deferenza l’esito delle indagini sui bilanci del Comune. Tuttavia è storia, quello che accadde a Palazzo delle Aquile – nel ping-pong fra la direttiva del sindaco Leoluca Orlando che diede la stura allo stralcio degli enormi debiti che la città aveva nei confronti delle sue società in house, e le infuocate sedute a sala delle Lapidi. Per Amat si trattò di un colpo di mannaia che comportò una perdita di esercizio di circa 50 milioni e un impoverimento patrimoniale vertiginoso.

IL MAXI-CONDONO E I SUOI EFFETTI

Fu una specie di auto condono fai da te, da parte del creditore Comune, che pure di Amap, Rap, Amat e consorelle è socio unico. Dall’altra parte, però, cantava e ammoniva la lettera del codice civile, che imponeva comunque ai management di mantenere in salute, o quasi, le aziende. Proprio l’Amat guidata da Gristina che naturalmente ne deteneva la rappresentanza legale – impegnata peraltro in una annosa e faticosa battaglia con il padre padrone Comune sulle bollette milionarie di Tari e Tosap – cercò inizialmente di tenere duro, sostenendo un punto di vista semplice ancorché inascoltato: i crediti dovevano restare vivi ed esigibili, pena una perdita patrimoniale immensa. Oltre alle norme civilistiche, faceva al caso di Amat e consorelle anche il chiaro dettato della legge 175 del 2016, il testo unico nazionale in materia di società a partecipazione pubblica. Norme che difendono strenuamente l’autonomia patrimoniale anche delle società detenute al cento per cento di capitale pubblico, quindi a tutte le spa anche se partecipate. A margine, per il management, la spada di Damocle, mai abbattutasi fortunatamente in concreto, delle varie azioni di responsabilità da parte di altri creditori; perché, si sa, i crediti di una società sono garanzia di solvibilità.

QUEI NUMERI MILIONARI

La direttiva di Orlando così abbattè, di fatto e di diritto, anche i circa 42 milioni di disallineamento nel consolidato 2016: i 9,3 milioni dovuti ad Amat divennero poche migliaia di euro, precisamente 9.122,006 euro, restando insondato il pozzo senza fondo del contenzioso che da anni contrappone la partecipata al Comune al 2018, come da relazione della Ragioneria generale al consuntivo, 85,6 milioni di euro dei quali 19,6 per la tassa dell’immondizia diversamente denominata a testimoniare la lungaggine della lite (Tarsu, Tare, infie Tari) e 65,7 milioni – calcolo sempre fermo a tre anni or sono – per la Tosap. Inciso: la Tosap, tassa per il suolo pubblico, è richiesta ad Amat per l’“occupazione” delle strisce blu per le quali Amat è chiamata alla verifica delle auto in sosta. Per quanto riguarda Rap, che inizialmente non aveva stralciato, restarono da stralciare 1 milione e 214 mila euro, completando così lo stralcio complessivo, fissato da 13 milioni 563 mila e 230 euro a 8 milioni 199 mila e 361 euro. Percorso diverso per Amap, che invece passò da 1 milione 793 mila e 627 euro a 3 milioni 565 mila e 561 euro.

LE AVVISAGLIE

Nella rissa politico-contabile che accompagnò e seguì la direttiva, emerge per esempio una nota del consigliere Fabrizio Ferrandelli, che fu pure sfidante di Orlando alle ultime Amministrative. Oggi Ferrandelli, contattato da Livesicilia ricorda come “avessi chiesto anche prima delle dimissioni di Gristina, quando si iniziò a parlare dello stralcio, un ripensamento radicale della politica sulle partecipate”. Anche prima di quei giorni, dunque: siamo al 13 di aprile, con nota al numero 49 del protocollo, Ferrandelli richiama altra nota, stavolta a firma dell’allora assessore al Bilancio, che lamenta la riluttanza di Amat allo stralcio: “Avendo appreso che Amat non intende procedere, come indicato con nota protocollo 213 del 10/04/2018 dall’Assessore al Bilancio , allo stralcio dei crediti – si legge nella lettera al sindaco – appare evidente che, sommando i suddetti crediti (che ad oggi si ascrivono nei fatti a debiti) ai 10 milioni strutturali di perdita, l’Azienda versi in difficoltà finanziarie tali da mettere a rischio le retribuzioni dei propri lavoratori e la gestione del servizio pubblico. Alla luce di quanto sopra e del fatto che l’Azienda una volta realizzate nuove infrastrutture non potrebbe sostenerne i costi di gestione peggiorando ulteriormente la già precaria situazione economica, si chiede di bloccare tutte le procedure attivate volte alla realizzazione di nuove linee di tram e di attivare un confronto nazionale per poter riprogrammare l’utilizzo dei fondi stanziati dal Patto per il Sud per le necessità dei cittadini palermitani, compatibili con l’equilibrio economico delle finanze comunali e delle sue aziende controllate”.

IL CONSUNTIVO DELLA DISCORDIA

Dunque, è così: l’Amat a guida Gristina “non intendeva procedere”. Ma è solo uno dei muri che quel sentiero di approvazione sgretolò con difficoltà. Ci furono le dimissioni, prima, a giugno del revisore Calcedonio Li Pomi nelle mani del presidente del collegio Marcello Barbaro. Barbaro rassegnerà egli stesso le dimissioni in un ottobre 2018 tempestoso, anche a seguito di una seduta (quella del 25 ottobre) al calor bianco e di un aspro scontro proprio con lo stesso Ferrandelli e altri consiglieri. Proprio quel confronto, relativo al rendiconto, probabilmente convinse il presidente del collegio a gettare la spugna. Il parere negativo iniziale, anche questa è storia o quantomeno cronaca consiliare, venne poi – come sottolinearono le opposizioni – smussato “in seguito a un intervento diretto del sindaco” che trasformò l’arena consiliare in una polveriera.

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