Ucciso e bruciato per un debito: in cella i killer condannati all'ergastolo - Live Sicilia

Ucciso e bruciato per un debito: in cella i killer condannati all’ergastolo

La cronaca dell'agghiacciante delitto. La sentenza per i due adraniti è diventata definitiva.
OMICIDIO ARCORIA
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ADRANO – Sono finiti in carcere. Dovranno scontare l’ergastolo per omicidio di Carmelo Arcoria. Vincenzino Scafidi, 51 anni, e Nunzio Lo Cicero, 45enne, sono stati arrestati stamattina dai poliziotti della Squadra Mobile di Catania e del Commissariato di Adrano. La Procura Generale ha emesso l’ordine di carcerazione nei loro confronti. La condanna è diventata definitiva dopo la decisione della Corte di Cassazione. E pensare che il primo grado si è concluso nel 2013. Alla fine, dunque, il cerchio si è chiuso e la ricostruzione della Dda di Catania è stata confermata da un verdetto ormai irrevocabile. 

Carmelo Arcoria è stato ucciso e poi bruciato nella sua Mercedes (GUARDA FOTO). Il 15 dicembre 2010, un giorno dopo la denuncia di scomparsa della moglie, in contrada Ponti Saraceni sono stati ritrovati solo i suoi resti. La vittima era un imprenditore agricolo. Gestiva alcune cooperativa e si occupava di raccolta di agrumi. Dalle indagini era emerso che fosse coinvolto in false attestazioni agricole. Ma è stato un credito vantato nei confronti di uno degli imputati a dare una svolta all’inchiesta. Vincenzino Scafidi doveva dare 5 mila euro ad Arcoria. E proprio il 13 dicembre ci sarebbe stato un incontro per discutere della restituzione della somma. Anche perché la vittima in quel periodo aveva urgente bisogno di liquidità. L’analisi dei tabulati e delle celle d’aggancio portarono a cristallizzare ripetuti contatti telefonici tra Arcoria e Scafidi. Ma quello che ha inchiodato i due imputati è stata un’intercettazione: Scafidi parlando con il cognato Giuseppe Santangelo raccontava dettagli – mai emersi – dell’omicidio. E inoltre tirava fuori il nome del complice Nunzio, poi identificato in Nunzio Lo Cicero e con cui la vittima aveva legami d’affari. (LEGGI QUI)

Nel processo di primo grado Scafidi ha respinto le accuse dicendo che quei particolari, così precisi, li aveva saputi dal padre di Arcoria. Difesa che è stata smontata in tre gradi di giudizio. La verità processuale si chiude con una condanna all’ergastolo: i due sono stati rinchiusi nel carcere di Termini Imerese, nel palermitano. 

La cronaca dell’agghiacciante delitto

Il corpo del 45enne completamente carbonizzato è stato ritrovato il 15 dicembre 2010 all’interno di una Mercedes in una piccola strada sterrata sulla statale 94 Adrano-Bronte, in direzione dello svincolo per il Ponte dei Saraceni. È stato freddato con alcuni colpi di pistola, di cui uno alla testa. Poi il suo corpo è stato bruciato all’interno dell’auto che per alimentare ancora di più le fiamme è stata riempita di pneumatici e materiale plastico.  

Arcoria era scomparso da due giorni: la moglie aveva infatti presentato una denuncia ed erano state avviate le ricerche. Dal ritrovamento della macchina è scattata una indagine coordinata dalla procura di Catania e condotta dalla polizia che ha cercato di capire gli ultimi movimenti dell’imprenditore. Interrogatori e controlli incrociati dei tabulati telefonici hanno permesso di identificare un nome: Vincenzo Scafidi, 43 anni, uomo con cui Arcoria aveva rapporti lavorativi legati alla sua attività nel settore agricolo. Inoltre, gli investigatori hanno scoperto che l’imprenditore aveva una situazione finanziaria gravata da molti debiti, e secondo alcune testimonianze Scafidi doveva ad Arcoria la somma di 5 mila euro.  Indizi e sospetti che però non bastavano per far scattare le manette. Ma grazie a un’intercettazione ambientale, attivata dalla Dda nell’ambito di un’altra indagine antimafia, è arrivata la svolta. In una conversazione registrata dagli investigatori Vincenzo Scafidi parlando con suo cognato Giuseppe Santangelo del delitto, ha raccontato con dovizia di particolari le modalità dell’uccisione. Scafidi si vantava del piano e indicava il suo complice, Nunzio, che poi è stato identificato in Nunzio Lo Cicero.

Il movente, secondo gli investigatori, è stata la restituzione del denaro: 5 mila euro che l’imprenditore adranita rivoleva urgentemente indietro. Dai controlli dei tabulati telefonici sono risultati svariate chiamate tra Arcoria e Scafidi i giorni prima della scomparsa e l’ulmitno numero composto era proprio quello dell’imputato. Da giorni, dunque, Carmelo Arcoria tampinava Scafidi per avere indietro i soldi, denaro necessario a saldare i debiti. Questo, secondo la magistratura, sarebbe stato il motivo scatenante del piano criminale. L’arma del delitto, si è ipotizzato una calibro 38, non è stata mai ritrovata.

Il 19 maggio del 2011 la squadra mobile e gli agenti del commissariato di Adrano hanno arrestato Vincenzo Scafidi e Nunzio Lo Cicero. Poi sono tornati in libertà per la scadenza della custodia cautelare. Oggi sono finiti dietro le sbarre. E dovranno scontare l’ergastolo. 


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