Ilardo, nuova inchiesta e verità nascoste: la figlia all'Antimafia - Live Sicilia

Ilardo, nuova inchiesta e verità nascoste: la figlia all’Antimafia

C'è ancora un buco nero nel racconto dell'omicidio dell'infiltrato di Cosa nostra avvenuto nel 1996

CATANIA – Ci potrebbe essere un nuovo capitolo da scrivere nella ricostruzione dell’omicidio di Gino Ilardo, l’infiltrato di Cosa nostra ammazzato il 10 maggio 1996 in via Quintino Sella a Catania. Un delitto che ha una verità processuale sancita da una sentenza definitiva che ha portato alla condanna all’ergastolo di alcuni degli uomini d’onore più pericolosi della mafia siciliana. Come il cugino della vittima, il boss di Caltanissetta Giuseppe Piddu Madonia, Vincenzo Santapaola (figlio di Turi e nipote di Nitto), Maurizio Zuccaro (boss di San Cocimo e cognato di Enzo Santapaola), Benedetto Cocimano (all’epoca del gruppo di fuoco di Maurizio Zuccaro, ndr). In un processo parallelo è stato condannato anche Santo La Causa, che si è autoaccusato di aver partecipato alla fase organizzativa dell’omicidio. Su La Sicilia è stata pubblicata la notizia di un fascicolo aperto a Catania che potrebbe essere collegato alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia su alcuni punti interrogativi che sorgono raccontando i giorni precedenti all’omicidio. Dall’incontro a Roma con i magistrati per formalizzare la collaborazione con la giustizia (di cui non esiste alcun documento scritto) al suo ritorno in Sicilia (senza alcuna scorta e protezione). Condotte “irrituali” per molti addetti ai lavori. 

Ilardo, confidente del colonnello Michele Riccio del Ros, ha portato i carabinieri a un passo dal covo di Bernardo Provenzano. Ed è quello il momento storico, quel 30 ottobre 1995, in cui il nastro si inceppa. E la storia della fonte Oriente si incrocia con i nomi degli imputati (assolti in appello) del processo Trattativa.

Del fatto che ci sia un’inchiesta aperta non arriva alcun riscontro diretto. Il Procuratore Carmelo Zuccaro, ad una precisa domanda, risponde: “Non posso né confermare né smentire”. 

Ultimamente il caso Ilardo è finito sul tavolo dell’Antimafia Nazionale. Il presidente della Commissione bicamerale Nicola Morra aveva già annunciato tempo fa che sarebbe stata ascoltata la figlia di Luigi Ilardo. 

Non è stata un’audizione semplice. La giovane catanese, accompagnata dal suo legale Felice Centineo, ha letto e sfogliato 38 pagine di un memoriale che riassumono l’intricata vicenda del padre ammazzato. Citati molti passaggi delle registrazioni del colonnello Michele Riccio. Il carabiniere aveva messo su un nastro quanto raccontato da Gino Ilardo, molte di quelle confessioni sono state il pilastro dell’informativa Grande Oriente. GUARDA IL VIDEO INTEGRALE. 

L’apertura di un nuovo fascicolo sull’omicidio di Luigi Ilardo (già uno sui mandanti occulti era stato aperto quando era procuratore di Catania Giovanni Salvi e poi archiviato, ndr) potrebbe essere collegato alle dichiarazioni rese negli anni precedenti da alcuni collaboratori di giustizia, in particolare da Pietro Riggio. 

L’ex agente di polizia penitenziaria è uno di quei pentiti che dopo anni di collaborazione hanno avuto sblocchi di memoria improvvisi. Sblocchi di memoria che riguardano misteri d’Italia, delitti eccellenti e sistemi deviati dello Stato. Rivelazioni tardive che sarebbero giustificate dalla “paura di ritorsioni” per sé stessi e la famiglia. I tempi, ora, sarebbero maturi per svelare nuovi segreti.

Riggio è stato sentito – l’anno scorso – per diverse ore nel corso del processo d’appello sulla cosiddetta Trattativa terminato con una sfilza di assoluzioni con la formula ‘non costituisce reato’. A tal proposito sarà interessante capire come di giudici di secondo grado hanno valutato le dichiarazioni di Riggio. 

Riascoltando quelle udienze su Radio Radicale  è possibile avere un quadro su alcuni input investigativi che avrebbero potuto portate ad aprire un fascicolo catanese sull’omicidio di Gino Ilardo.  

Riggio in particolare parla delle confidenze che avrebbe ricevuto da Angelo Ilardo, cugino di Luigi nel 2001. “Secondo me si è condannato a morte quando ha deciso di formalizzare la sua intenzione di diventare collaboratore di giustizia”, ha commentato Riggio rispondendo ai sostituti procuratori generali di Palermo. Escono tanti nomi. Alcuni risaputi. I presenti all’incontro romano prima del suo omicidio, il magistrato Giovanni Tinebra (allora procuratore di Caltanissetta e scomparso qualche anno fa), Teresa Principato e Giancarlo Caselli (all’epoca sostituito e procuratore di Palermo). Ma è un passaggio del controesame dell’avvocato Basilio Milio, difensore del generale Mario Mori, a fornire una catena di eventi che forse la Procura di Catania sta cercando di riscontrare con accertamenti ad hoc. 

Riggio avrebbe avuto modo di discutere (intorno al 1998) con Alfio Mirabile, all’epoca tra i vertici di Cosa nostra. Boss molto legato a Nino Santapaola u pazzo, fratello del padrino Benedetto. Nel 2004 Mirabile è stato vittima di un agguato fallito ma è rimasto ferito in modo grave e poi è morto nel 2011).  

Ma torniamo all’audizione a Palermo di un anno fa. La domanda dell’avvocato è da chi sia partito l’ordine di uccidere Ilardo. “L’ordine partì da una fonte istituzionale del Tribunale di Caltanissetta che la diede ai carabinieri di Caltanissetta che la fece sapere indietro. Il colonnello Mori incaricò un suo uomo che era in servizio alla caserma dei carabinieri di Catania che era direttamente collegato a Zuccaro che da sempre è stato confidente dei carabinieri. Passò la notizia a lui affinché si facesse un omicidio che non potesse essere più ritardato. Equesto lo so da fonte mafiosa diretta che è Alfio Mirabile che voleva uccidere sia Zuccaro che il carabiniere perché non ce la faceva più”. Questo sarebbe avvenuto “tra gennaio e maggio 1996”. Già nel corso del processo di primo grado davanti alla Corte d’Assise di Catania era emersa questo collegamento tra Maurizio Zuccaro e pezzi delle istituzioni. In particolare l’ex ispettore della Dia Mario Ravidà raccontò che Zuccaro avrebbe avuto diretti collegamenti con i servizi segreti. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado sui mandanti e killer mafiosi dell’omicidio di Gino Ilardo c’è un passaggio proprio su quella improvvisa accelerazione che fino ad oggi resta un buco nero in questa vicenda. L’Antimafia nazionale vuole vederci chiaro. E forse a distanza di 25 anni potrebbe finalmente arrivare le chiavi per scoprire le tante “verità nascoste”. 


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